Spesa libera
Sovranità alimentare? No, boom dell'import: da dove vengono carne, cereali e patate
La sovranità alimentare può attendere. Dopo le due crisi della materie prime agricole innescate la prima dalla ripresa tumultuosa post Covid e la seconda dalla guerra in Ucraina, il nostro grado di autoapprovvigionamento è sceso anziché salire. Con buona pace dei molti che avevano lanciato l’allarme per un ritorno all’autarchia, quando Giorgia Meloni aveva istituito il ministero della Sovranità alimentare, associandolo a quello dell’Agricoltura.
Se davvero è in atto una de-globalizzazione, si può dire che riguarda soltanto marginalmente l’agroalimentare.
Lo testimoniano i dati sul livello di autosufficienza compilati da Ismea Mercati e le elaborazioni della Coldiretti sui dati Istat relativi alle importazioni del 2023. A livello di produzione tricolore siamo tuttora gravemente deficitari nei cereali e nella carne bovina. Arriviamo a coprire appena il 36% del fabbisogno di grano tenero, l’ingrediente fondamentale di pane, biscotti e prodotti da forno in genere. In pratica quasi due panini su tre fra quelli che acquistiamo giornalmente sono fatti interamente da farina ottenuta da frumento importato. Va meglio - ma non troppo - con il grano duro, ingrediente di base della pasta: la produzione tricolore copre il 56% del nostro fabbisogno, ma la percentuale è destinata a scendere anziché salire, come testimoniano i dati Istat sulle importazioni fatte segnare nel 2023.
Ben 3 miliardi di chilogrammi di grano duro, il 66% in più sul 2022 e addirittura 4,8 miliardi di chili per il grano tenero, in crescita dell’8% sull’anno precedente. L’ultimo raccolto di frumento tricolore è stato falcidiato dalla siccità, ma nonostante la penuria i prezzi anziché salire sono scesi. E la resa 2024 rischia di essere ancora più scarsa: dal momento che i prezzi all’ingrosso dell’ultimo raccolto coprivano a fatica i costi, molti agricoltori hanno deciso di privilegiare colture più redditizie.
Situazione simile pure nelle carni. Per quelle bovine il tasso di autoapprovvigionamento arriva al 43%. Più di una bistecca su due è importata. Meglio con carne suina e salumi per i quali le nostre stalle riescono a coprire il 59%, mentre per il pollame la produzione è addirittura eccedentaria, ma ci prepariamo anche per questa voce a importare dall’estero, segnatamente da fuori Ue, per la campagna contro gli allevamenti intensivi, ispirata dal Green Deal europeo e amplificata dalle associazioni animaliste.
Nell’ortofrutta si segnalano i casi clamorosi di patate, pesche e nettarine. Le importazioni dei tuberi sotterranei sono balzate lo scorso anno a 797 milioni di chilogrammi, in aumento del 39%. Quelle di pesche hanno fatto un balzo del 74% a 108 milioni di chilogrammi. Su del 23% pure i kiwi importati.
Fra l’altro vale la pena di segnalare che è aumentato in volume l’import di carne bovina (+5%) e ovina (+14%) due derrate in cui siamo già fortemente deficitari. Dunque, anche in questo caso, la nostra dipendenza dall’estero è destinata a crescere anziché diminuire. Tutte voci per le quali l’autosufficienza si allontana.
E c’è poco da gioire anche per le merceologie - poche nelle quali si segnala una riduzione delle importazioni. Il calo degli acquisti all’estero di olio d’oliva (-31% a 405 milioni di chilogrammi) non è legato tanto a un aumento della produzione nazionale, quanto al crollo di quella spagnola. E l’aumento all’origine delle quotazioni dell’extravergine, salite dai 6,07 euro al chilogrammo di marzo 2023 ai 9,56 euro al chilo di marzo 2024 ha provocato la reazione quasi risentita dell’industria olearia, nonostante vi fosse una grave penuria sul mercato dell’oro verde.
Fra l’altro una parte non trascurabile delle derrate importate alimenta il mercato del falso made in Italy, come dimostrano i sequestri in serie effettuati da Carabinieri e Guardia di Finanza. Un business fiorente che mette in ginocchio però i produttori onesti. Ed è proprio per fermare l’invasione di prodotti alimentari stranieri spacciati per italiani che migliaia di agricoltori della Coldiretti da tutte le regioni si sono dati appuntamento al Brennero, dove presidieranno domani e dopo il valico per smascherare il “Fake in Italy” a tavola.
«Il Brennero è un luogo fortemente simbolico per il passaggio dei falsi prodotti made in Italy che invadono il nostro mercato», spiega a Libero il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, e «proprio per questo domani e martedì saremo lì con migliaia di agricoltori: per rilanciare la nostra battaglia sulla trasparenza dell’origine in etichetta che è un diritto dei cittadini europei. Chiediamo sia una priorità della nuova Commissione Ue e del nuovo Parlamento dopo le elezioni europee. Dobbiamo dire basta alla concorrenza sleale, fermare i cibi contraffatti che passano dalle frontiere e dai porti europei. La nostra mobilitazione, in continuità con il lavoro fatto a Bruxelles in questi mesi, prosegue a difesa del reddito degli agricoltori e a salvaguardia della salute dei cittadini». Senza considerare il portafoglio, sempre più esposto alle speculazioni con la crescita dell’import.