La signora dei danni
Christine Lagarde può travolgere l'Europa: perché va fermata
Mo’ basta. Prima il Pil che perde di slancio (ma non troppo, vivaddio) lo 0.3%. Adesso la manifattura, settore in cui in tempi neanche troppo lontani abbiamo perfino eguagliato - e superato - la Germania, che si contrae. Mo’ la Christine Lagarde, alla decima stretta, all’ennesimo rialzo dei tassi, sta un po’ esagerando. Come dice Visco non è necessario combattere l’inflazione dalla recessione che finirà per palesarsi ad un’ulteriore impennata del costo del denaro. Bisognerebbe dire alla Bce di fermarsi qui: l’Eurozona è lontanissima dalla spirale salari-inflazione che contrassegnò gli anni’70. Ma un inciampo, ora, sarebbe assai dannoso sia per fattori economici che squisitamente politici: dalla riforma del patto di stabilità, al caroprezzi energetico, finanche alle prossime elezioni.
TUTTO SI LEGA - Tutto si lega. Quindi è abbastanza preoccupante constatare che, a giugno, l’indice Hcob Pmi di Standard&Poor Global, calcolato sulle risposte dei responsabili acquisti di circa 400 aziende, sia diminuito a 43,8 dal 45,9 di maggio. Sotto i 50 – la soglia media - non è buon segno. Rispetto alla prima stima è leggermente superiore il dato italiano, a quota 44,5.
Confermato invece il dato fortemente negativo della Germania, 38,8. L’analisi che ne segue è che la manifattura europea - specie la nostra - è in pericolosa flessione. Tecnicamente, la produzione e i nuovi ordini sono «entrambi calati a tassi storicamente elevati, con evidenti difficolta dei mercati», dice il rapporto S&B. Anche l’attività di acquisto è stata ridotta drasticamente, con le aziende che hanno segnalato un’affannosa volontà di utilizzo delle giacenze. Con la domanda più bassa, è stato evidente un miglioramento della disponibilità dei componenti, dei materiali; sicché i tempi medi di consegna si sono accorciati ancora una volta.
Questi fattori hanno contribuito al forte crollo dei prezzi di acquisto e, di conseguenza, al calo vigoroso dei prezzi alla vendita. Poi sono intervenuti altri elementi: la forte competizione di mercato, la domanda debole e la volontà di trasferire la riduzione dei costi ai clienti. Sia le vendite nazionali che quelle estere sono rimaste in calo, con quest’ultime che, ancora una volta, hanno avuto un taglio drastico. Pare che tutto lo scenario sia dipinto su una sensazione d’incertezza.
Gli antropologi economici evocherebbero l’«effetto-domino». Ora, qui parliamo di dati econometrici e di indici di previsione secondo i quali – se continuiamo così - potrebbe prospettarsi anche per l’Italia un pericoloso appannamento del Tfp. Ossia del cosiddetto indice di produttività totale dei fattori: ossia di quel parametro che fotografa i rapporti tra uno Stato e la sua industria, e misura il grado di efficienza complessivo di un’economia. Certo, finora la nostra, di economia, ha retto producendosi in performance lussureggianti. E, a tutt’oggi, si registrano trend più che positivi per quel che riguarda l’inflazione, che ritorna ai livelli di aprile 2022.
E, inoltre, a luglio l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato un incremento dello 0,1% su base mensile e del 6% annuo, in calo dal 6,4% di giugno. E, a detta di Via Nazionale, la gelata sulle prospettive dell’economia italiana non metterà a repentaglio le cifre di deficit e debito incardinate nel Def, il documento di economia e finanza che traccia un quadro molto meno fosco di quanto possa apparire, dato che stima il Pil in aumento dell’1% per il 2023. «Questo obiettivo di crescita è ancora pienamente alla portata e si continuerà a perseguirlo con le politiche economiche di responsabilità prudente apprezzate e riconosciute come valide in ambito internazionale» fa sapere il ministro Giorgetti. E ci sta.
LE ANALISI - Ma il problema, ora, è davvero la Bce. Da molte parti - politica, economia, mondo accademico si levano gli appelli allo stop del rialzo dei tassi. La Lagarde, però, non si è fermata. Presa dalla fretta, la banchiera centrale ha scambiato l’inflazione americana con quella italiana, forzando sui tassi come unico strumento per abbassare l’inflazione al 2%. Ora bisogna frenare prima che crolli tutto in zona euro. Lo dicono non solo i ministri Urso e Giorgetti, ma pure Fabio Panetta governatore di Bankitalia dal novembre prossimo. Lo ribadisce anche Lucrezia Reichlin dalla London Business School, che suggerisce: «La Bce a settembre deve fermarsi. Lo dicono le analisi dei dati, la situazione dell’eurozona è molto diversa dagli Stati Uniti. La disoccupazione è bassa, ma le ore lavorate sono ancora al di sotto dei livelli pre-pandemia e con settori ancora in difficoltà». Mo’ basta.