Tesori sprecati

Mario Draghi ha sbagliato tutto? Il report: "spariti" 80 miliardi

Sandro Iacometti

Ad ogni decreto aiuti (il rituale è iniziato alla fine dello scorso anno) l'Italia è stata col fiato sospeso. Quanti soldi riuscirà stavolta a racimolare il governo? Due -tre miliardi? Forse sono sei, vai che si arriva a otto! Eh sì, perché restando posizionato, granitico e inamovibile, dietro la trincea del no allo scostamento di bilancio, chiesto a gran voce da quasi tutta la sua ex maggioranza, il premier ha messo sul tavolo ogni singolo euro come se fosse l'ultimo. Come se il suo fido ministro dell'Economia (uscente), Daniele Franco, girando per i corridoi di Via XX Settembre, di tanto in tanto scovasse manciate di quattrini nascoste in un anfratto. "Le risorse sono state trovate nelle pieghe del bilancio", è la spiegazione di rito che non spiega niente. Quali pieghe? Da dove arrivano i soldi? E, soprattutto, ce ne saranno altri? A svelare gli arcani misteri della finanza pubblica italiana, manco fosse un romanzo di Harry Potter, ci ha pensato mercoledì la Nadef, orribile acronimo che sta per Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Altro che raschiare il fondo del barile. Altro che spremere le imprese per raggranellare qualche spicciolo in più. Il denaro non solo c'era, ma è persino avanzato.

 


I NUMERI
I numeri non mentono: malgrado i 66 miliardi di sussidi e aiuti distribuiti a più riprese nel corso dell'anno il rapporto tra deficit e pil, che è uno dei parametri, insieme a quello sul debito, su cui l'Ue e le agenzie di rating ci danno i voti, scatenando la speculazione finanziaria se non sono buoni, è addirittura sceso rispetto alle previsioni. Il Def di aprile prevedeva 5,6% e invece è al 5,1. Per farla breve, c'è una differenza dello 0,5%, che vale circa 10 miliardi, che poteva ancora essere spesa senza che nessuno a Bruxelles o tra gli investitori istituzionali potesse alzare un sopracciglio. Una magia? Non proprio. Semmai una piccola bugia. La realtà è che nel documento che fotografa la situazione dei conti pubblici del 2022 vanno alla grande tutti gli indicatori: il debito scende al 145,4% del Pil invece del 147 previsto, il saldo primario di -1,1% è migliore rispetto al -2,1 stimato nel Def e persino la spesa pubblica è diminuita. L'unico imprevisto riguarda il costo del debito, che a causa dello spread è salito un po' più delle attese, ma è poca roba. Il motivo? Un po' l'effetto trascinamento dell'incredibile crescita del 2021 e tanto l'andamento delle entrate nei primi 7 mesi dell'anno, che, si legge nella Nadef, «ha sorpreso al rialzo malgrado le imponenti misure di mitigazione del costo dell'energia attuate dal governo, anche tramite sgravi fiscali». E il bello è che a riempire le casse dello Stato sono stati proprio i problemi che ci assillavano. «L'impennata dei prezzi dell'energia importata e dell'inflazione interna ha dato un contributo determinante alla crescita del gettito», scrive Franco, anche se pure «l'incremento del Pile dell'occupazione ha giocato un ruolo di rilievo». Insomma, il grano c'era e il governo lo sapeva da tempo.

 

 


E non stiamo parlando di quattro soldi, ma di un tesoretto inaspettato di circa 80 miliardi. A questo punto sentiamo quello che ha detto ieri Draghi commentando il piano da 200 miliardi annunciato da Berlino: «Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali». Giusto, servirebbero iniziative condivise della Ue sia sulla spesa (Recovery bis) sia sulle decisioni (price cap), che invece non arrivano. Resta il fatto che lo «spazio» nel nostro bilancio era molto più ampio di quello che l'ex Bce ci ha fatto credere. E con 80 miliardi a disposizione, invece di centellinare aiuti col contagocce forse si poteva fare un mega taglio del cuneo fiscale, si poteva mettere benzina nel motore della crescita, che il prossimo anno frenerà dal 2,4 previsto allo 0,6% (se Putin non taglia il gas), oppure, magari sforando di qualche decimale gli impegni presi con la Ue, si poteva fare il tetto al prezzo dell'energia in Italia, così come hanno fatto Spagna, Francia, Gran Bretagna e ora la Germania. Si potevano fare tante cose, forse anche più efficaci di una pioggia di sussidi (come il bonus anti-inflazione o gli sconti in bolletta) che il prossimo governo sarà costretto a replicare all'infinito per evitare di finire nel tritacarne. Sussidi che poi, diciamocelo, servono anche a poco. Aiuti o no, la bolletta è aumentata di un altro 59%. Non siamo arrivati a 100 solo perché l'Autority ha rinviato i conguagli delle fatture precedenti.