È finita

Euro, il disastro di Bruxelles che azzera i nostri risparmi

Michele Zaccardi

I Dalla svalutazione dell'euro al calo del prezzo del petrolio, i segnali negativi per l'economia mondiale si susseguono. E in questo scenario l'ipotesi che l'Europa finisca in recessione entro la fine dell'anno non appare più così distante dal realizzarsi. Non a caso, ieri l'euro ha continuato la sua corsa al ribasso nei confronti del dollaro, chiudendo a 1,0067, dopo essere addirittura sceso sotto la parità a 0,99. Certo, in favore del biglietto verde giocano i rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve, che ha anticipato la Banca centrale europea nella stretta monetaria. I Fed Funds oscillano infatti tra l'1,5 e l'1,75% e un ulteriore aumento da 75 punti è alle porte. Ma è anche vero che il 21 luglio la Bce, sulla scorta di quanto deciso a giugno, aumenterà i tassi di 25 punti base, schiodandoli dallo zero a cui sono incollati da otto anni.
 

 

BREVE PERIODO E allora, per spiegare il deprezzamento della moneta unica, che ha toccato il minimo dalla sua introduzione nel 2002, non basta concentrarsi sui deflussi di capitali incoraggiati dai differenziali dei tassi di interesse. A incidere sulle aspettative dei mercati, infatti, è in particolare il deterioramento progressivo del quadro economico. Un deterioramento che risulta molto più preoccupante rispetto all'altra sponda dell'Atlantico, soprattuto alla luce dei crescenti timori di un blocco degli approvvigionamenti del gas russo che potrebbe mettere a repentaglio la crescita nel Vecchio Continente nel breve periodo. Già alla fine di giugno, l'agenzia di rating Fitch aveva sottolineato la maggiore probabilità di una contrazione del Pil dell'eurozona nell'ultimo trimestre di quest' anno e nel primo del 2023. In altre parole, una recessione tecnica. Mentre la crescita fino all'autunno dovrebbe essere sostenuta dal settore dei servizi e dal turismo, si legge nel report dell'agenzia, «un razionamento del gas e prezzi più alti potrebbero facilmente determinare due trimestri consecutivi di contrazione dell'attività economica». Con un effetto di minor crescita dell'1% del Pil, rispetto al 2,1% stimato, nel 2023. Sia chiaro, tutto il mondo sta soffrendo dell'impennata dei prezzi dell'energia e delle materie prime. La paura di una recessione, confermata dalle stime dell'Opec che prevedono un rallentamento della domanda globale di greggio nel 2023, ha fatto diminuire le quotazioni del petrolio. Il Brent è calato del 7,07% a quota 99,53 dollari al barile e il Wti ha perso il 7,43% a 96,36 dollari. Ma che in Europa la situazione sia più difficile che altrove è ormai evidente. Eppure, nonostante i numerosi campanelli di allarme, Bruxelles per ora fa orecchie da mercante.
Dopo aver dato il via libera all'ingresso della Croazia nell'euro a partire dal 2023, l'Ecofin di ieri si è concluso con un risoluto diniego all'utilizzo di altri fondi europei per contrastare gli effetti della guerra e dell'inflazione causata dai rincari energetici.
 

 

 

CONTI PUBBLICI Non solo. Il consesso dei ministri delle finanze Ue è tornato anche a battere sulla linea del rigore per i conti pubblici.
«In particolare nei periodi difficili, non dobbiamo dimenti-1,125 a medio termine» in modo da «garantire una riduzione credibile e graduale del debito e la sostenibilità di bilancio a medio termine termine». Tutto questo attraverso «un gradua-1,075 le consolidamento, investimenti e riforme in linea con le Raccomandazioni specifiche -1,050 per Paese».
E A giustificare le conclusioni del Consiglio dei ministri è intervenuto anche il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis. «Riteniamo che l'economia dell'Ue continuerà a crescere, ma a un ritmo più contenuto» ha dichiarato, aggiungendo che, però, «molto dipenderà da come si svilupperà la guerra e da eventuali shock economici che ne deriveranno». A pesare sulle prospettive di crescita, oltre a «un'inflazione record» e a «un inasprimento delle condizioni finanziarie», sono soprattutto i problemi di «approvvigionamento energetico». Per risolverli, ha sottolineato Dombrovskis, «dobbiamo ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili, in particolare quelli importati dalla Russia. Allo stesso tempo, dobbiamo aumentare l'uso delle energie rinnovabili e aumentare l'efficienza energetica»