Chi gode
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L'invasione dell'Ucraina da parte del satrapo Putin ha come conseguenza anche il ridisegno delle filiere produttive con la creazione di una nuova mappa geoeconomica con vincitori e vinti, aldilà degli eventi strettamente bellici. In questa "guerra delle commodity" c'è pure chi ci guadagna, ma finora l'attenzione è stata puntata su chi ha "perso". Tra questi ultimi, i più danneggiati sono stati i Paesi Ue (in primis Italia e Germania), specie per lo tsunami del gas e di altre materie prime, come cereali o fertilizzanti. Certo che è impegnativo trovare sostituti rispetto a Mosca, ad esempio per i metalli, palladio in particolare, ma anche alluminio. Da notare inoltre che il Donbass fa gola a Putin, al di là delle questioni politiche, perché possiede circa il 10% delle riserve mondiali di litio, indispensabile per le batterie. Lo scontro Russia-Ucraina sta creando tensioni sociali pure in alcune economie emergenti come l'Egitto, mentre la sciagurata mossa di Putin ha addirittura dato il colpo di grazia al default dello Sri Lanka, a causa dell'energia.
VUOTI RIEMPITI
Inevitabile che nella nuova mappa geoeconomica che emerge dal ridisegno delle filiere produttive e delle commodity ci sia anche chi ci guadagna perché pure in questo settore i vuoti vengono riempiti, dopo un periodo più o meno lungo di destabilizzazioni, sconquassi di ogni genere ed elevata volatilità dei listini. In primo luogo i Paesi che, in seguito alle sanzioni dell'Occidente, sono stati i più veloci a proporsi per le "triangolazioni" commerciali dei prodotti soggetti ad embargo. La Turchia sta registrando un'impennata nell'import di scarpe di lusso marchigiane, destinate poi a venire "girate" in Russia.
A ruota troviamo le Repubbliche baltiche che si prestano a queste pratiche commerciali poco "leali", un chiaro escamotage (di bassa lega) volto solo ed esclusivamente a dribblare le sanzioni. Oppure qualche porto, come Trieste, che ha già visto crescere i suoi traffici, in sostituzione di Odessa, e ha appena inaugurato una nuova linea portacontainer con la Cina. E pure il Nord-Est sta sperimentando la rilocalizzazione di qualche produzione ucraina e polacca da parte di alcune multinazionali, ad esempio gli elettrodomestici della Electrolux. Fin qui sul versante delle principali transazioni commerciali e degli effetti indotti immediati. I cambiamenti più forti si realizzano però sottotraccia, perché nella guerra delle commodity c'è anche chi "vince" dal ridisegno della mappa dell'economia mondiale. In primo luogo tutti i produttori di petrolio del Golfo (specie dopo il sesto pacchetto di sanzioni varato da Ursula von der Leyen), dall'Arabia Saudita ai Paesi arabi, e con il ritorno sul mercato di Venezuela e Iran (pur subendo ancora quest' ultimo i pesanti effetti delle sanzioni, specie americane) . Altri attori sono in grado di aumentare l'output di barili, come gli Usa. Pure i produttori di metano liquefatto, dall'Africa (Nigeria, Algeria, ecc.) all'Australia, trovano nuova linfa in seguito allo shortage del gas.
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IL SUDAMERICA GONGOLA
Tra chi vince da annoverare l'intera l'America Latina, autonoma per l'energia e ricca di risorse naturali. Ad esempio chi ha materie prime appetibili, come la Colombia, potrebbe appunto beneficiare di ricadute positive. Paesi come il Cile, il più grande produttore al mondo di rame, non possono che avere vantaggi da una più rapida transizione energetica verso fonti rinnovabili dove proprio il metallo rosso è tra i componenti più importanti per lo stoccaggio e la distribuzione. Pure il Sudafrica, esportatore di ferro e platino, ha visto di recente incrementare i propri ricavi.Avendo mantenuto attivo il commercio con la Russia, l'India importa petrolio "a sconto", il che dovrebbe attenuare l'effetto inflazionistico del rincaro energetico. La Cina prosegue a pieno regime le relazioni commerciali con Mosca ed è possibile che possa avvalersi dello stato di "ultimo acquirente" per approvvigionarsi a prezzi convenienti di molte materie prime russe.
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