Paradossi

Termosifoni accesi anche se fuori fa caldo, follia italiana: gas e bollette alle stelle, ora si spiega tutto

Pietro Senaldi

«O la pace o i condizionatori», ha dichiarato il premier Draghi per far capire agli italiani che l'invasione dell'Ucraina ci riguarda direttamente e, se vogliamo uscirne, dovremo affrontare sacrifici duri. L'ultimatum presidenziale è stato molto criticato perché a nessuno, forse neppure al suo autore, è mai risultato chiaro il sillogismo alternativo in base al quale solo se trascorreremo l'estate sotto la canicola potremo non passare l'inverno sotto le bombe.

Per quanto infelice però, la frase era più ragionata di quanto sembrasse. Se intatti Draghi avesse detto "o la pace o i caloriferi", la guerra sarebbe già persa. Già, perché né Putin né Greta, né il terrore di un conflitto nucleare né l'ossessione ambientalista riescono a far abbassare di un grado i termosifoni delle nostre case. Poco importa ai nostri connazionali se un grado in più in salotto può costare la vita a centinaia di bimbi ucraini, visto che Mosca, coni soldi che le diamo per il gas, si fabbrica le bombe.

 

 

CALDO TROPICALE - Scendiamo nel dettaglio. Secondo la legge italiana, i riscaldamenti possono essere tenuti accesi fino al 14 aprile; dopo, si vìola la legge. La settimana che termina oggi ha fatto registrare in tutta la Penisola temperature sopra la media, sui 17-18 gradi, con i ragazzi che giravano in maglietta anche nelle città del Nord. Ebbene, malgrado non ce ne fosse alcun bisogno, i termosifoni nelle nostre case hanno lavorato fino all'ultimo minuto dell'ultimo giorno possibile, a costo di farci girare in calzoncini in tinello, agghindati tragicamente fuori stagione. Per forza poi gli animi nel Paese si surriscaldano.

È la dimostrazione di come nulla, neppure il raddoppio delle bollette, possa prevalere sulla cialtronaggine del Paese e sulla sua politica velleitaria, fatta di slogan e buoni princìpi ma nessuna capacità di calarli nella realtà, che ormai è diventata pervasiva e contagia tutti, perfino gli amministratori di condominio. La prima volta che abbiamo fatto la guerra alla Russia, nel 1854, non ce ne importava nulla che lo zar si riprendesse la Crimea ma sacrificammo 18mila bersaglieri solo per guadagnare crediti verso il Regno Unito.

 

 

PRECEDENTI STORICI - La seconda, mandammo gli alpini con le scarpe di cartone nella neve e oggi il Pd si rifiuta di celebrare il corpo nel giorno della gloriosa vittoria di Nikolajewka, quando le Penne Nere ruppero l'accerchiamento dell'Armata Rossa, perché ai tempi eravamo invasori e alleati dei tedeschi. La terza, che sarebbe quella attuale, grazie a Dio non spediamo un solo uomo al fronte. Ci limitiamo a rifornire di armi gli avversari di Putin, anche se questo ci potrebbe costare una testata nucleare russa sulla testa, secondo le ultime minacce del dittatore di Mosca. La combattiamo di lusso, rinunciando a importare caviale e impedendo ai nostri mobilieri e stilisti di rivestire case e corpi degli oligarchi ma perseverando nel comprare dal nemico materie prime. Rinunciamo agli spiccioli che il criminale di guerra ci fornisce e persistiamo nel versargli centinaia di milioni.

COSE REALIZZABILI - Beninteso, siamo d'accordo che sanzioni vere a Mosca sarebbero un suicidio, perché bloccherebbero la nostra industria e non quella russa, facendo più male a noi che a loro. Sacrosanto anche cercare nuovi spacciatori di gas da cui comprare per poi tagliare i ponti con la Russia, possibilmente lasciando fuori dalle trattative Letta e il suo Pd, che vorrebbero acquistare materie prime solo da chi è in odore di santità e hanno una lista nera grande quanto il mondo. Però, se fra un'enunciazione di principio, un'iniezione di moralismo e una martellata sui santissimi di industrie e contribuenti, ogni tanto il governo si impegnasse per realizzare quel che dice, o quantomeno a dire cose realizzabili, forse anche Putin comincerebbe a prenderci sul serio. Per adesso, il tiranno di Mosca minaccia di bombardarci, forse pensando che neppure se ci sgancia un'atomica sulla testa rinunceremmo al suo gas. Proprio come fanno gli ucraini, del resto.