L'intervento
L’economia sostenibile? Senza un regolamento europeo, trova molti nemici
I criteri ESG (Environmental, Social, Governance) valutano le scelte economiche della finanza sostenibile, l’impatto ambientale e lo sviluppo green, sono esaustive ma a volte soggette a interpretazioni differenti e decliniate in malafede. Il termine “greenwash”, già coniato dall’opinione pubblica americana, sta assumendo un peso simile a quello di “fake news”, muovendo il mondo della sostenibilità e della biodiversità ad interpretarlo come un nuovo neologismo “ESGreenwash”. Va detto che questo fenomeno è diventato un vero e proprio tecnicismo per accelerare un percorso per tutte quelle attività aziendali che non rispettino i requisiti minimi dei criteri ESG che le definiscano “green”.
Si pone quindi l’interrogativo che definisca quando e come riconoscere un’azienda che alimenti il fenomeno del greenwashing. Va detto che una qualsiasi impresa che concentri la propria attività di comunicazione su temi di sostenibilità ambientale e rispetto delle normative per crearsi un’immagine più vicina al suo pubblico, ma di fatto svolgendo la sua attività in modo differente da quello dichiarato, pone sicuramente le basi per poterla definire all’interno del nuovo neologismo.
D’altra parte però va detto che per contrastare questo fenomeno, almeno da un punto di vista finanziario, Stati Uniti ed Europa hanno focalizzato la loro attenzione su banche e società d’investimento che promuovono strumenti finanziari definiti “sostenibili" (fondi comuni d’investimento, ETF, prestiti legati alla sostenibilità).
L’UE sta irrigidendo i controlli sui gestori patrimoniali e ha annunciato l’emanazione di una serie di norme restrittive che richiedono ai gestori di fondi, asset manager, assicuratori e altri operatori che allocano prodotti finanziari di divulgare le caratteristiche ESG di quei prodotti definiti “green”.
Gli Stati Uniti di Joe Biden, attraverso la Securities Exchange Commission, hanno modificato il loro atteggiamento, irrigidendolo, nei confronti di aziende che adottano campagne marketing fuorvianti e fondi d’investimento che si dichiarano compliant ESG. E’ stato recentemente pubblicata una considerazione che enfatizza quanto sia cresciuto l’incremento della raccolta dei fondi “green” e come i criteri ESG non siano sempre rispettati, nonostante questo l’affair sostenibilità sarà il business del prossimo futuro: si valuta che i fondi sostenibili globali ammontino circa a 1.650 miliardi di dollari, di questi Morningstar stima che siano allocati per 81% in Europa, area molto sensibile ai temi di ambiente e sostenibilità.
Nel 2020 le obbligazioni green e sostenibili hanno raccolto la cifra record di 490 miliardi di dollari, va da sé che questo rappresenta un terreno estremamente fertile per far proliferare il fenomeno del greenwashing. Anche la rivista Cosmopolitan, certamente usa a trattare spesso argomenti più leggeri, in occasione della Giornata mondiale della Terra, ha trattato l’argomento del greenwashing tacciandolo di “appropriazione indebita di virtù ambientaliste” per indurre i consumatori ignari a non credere di sostenere prodotti ecosostenibili e cicli produttivi virtuosi, quando non lo sono.
C’è da chiedersi se le pratiche di greenwashing e suoi tecnicismi siano da considerarsi fraudolenti o meno: le norme in tal senso non sono così chiare da delinearne un indirizzo specifico. Sarebbe opportuno delineare dei protocolli di standard di trasparenza dei processi per poterne verificare in ogni momento la qualità e l’attinenza alle logiche green, attuabile solo attraverso un intervento regolatore condiviso con gli Stati membri dell’Unione europea. La questione dei criteri ESG è un tema molto caldo che ogni giorno con urgenza afferma la necessità di un una regolamentazione di forma e di sostanza. In mancanza di un insieme di norme condivise tra i Paesi, sarà complesso trovare risposte ad interrogativi ad oggi aperti.
di Emanuele Salamone
Senior Vice-president e partner di Value Partners