Crisi

Covid, Gigliotti di PIÙ - Partite Iva Unite: "I ristori non salveranno le imprese dal fallimento"

Giuliana Covella

Secondo quanto stimato da un recente studio, entro dicembre almeno 350mila piccole e micro imprese saranno costrette a chiudere, con la conseguente perdita di posti di lavoro per almeno un milione di lavoratori che si andranno ad aggiungere al mezzo milione di posti di lavoro già persi dall’inizio della pandemia. Se non saranno introdotte nell’immediato misure efficaci per uscire dall’agonia, non sarà possibile neanche sperare in una ripresa economica. Senza le imprese, le micro-imprese in particolare, che costituiscono la spina dorsale del nostro tessuto imprenditoriale, l’Italia non potrà ripartire. Il partito delle Partite Iva Unite chiede: di aumentare la percentuale dei ristori (attualmente fissata, per ora solo sulla carta, al 25% della perdita di fatturato subita), per coprire tutte le spese vive, compreso il pagamento di bollette, spese assicurative e contributi previdenziali, visto anche l’intervento della Comunità Europea che ha innalzato al 90% dei costi fissi il rimborso che le imprese potranno ottenere dagli stati membri, avendo conseguito una perdita di fatturato di almeno un terzo; di annullare, per artigiani e commercianti, soggetti tra i più colpiti dalla crisi e al tempo stesso maggiormente ignorati dal governo, il pagamento per il biennio 2020-2021 dei contributi previdenziali fissi dovuti all’INPS, pari a circa 3.850,00 euro annui, garantendone al tempo stesso l’accredito figurativo ai fini della maturazione dei requisiti pensionistici, ed eventualmente mantenendo solo la parte calcolata in percentuale sull’effettivo reddito dichiarato, qualora eccedente il minimale (attualmente fissato in 16.000 euro). In questo modo la contribuzione da versare sarebbe solo quella rapportata al reale risultato economico conseguito, e non stabilita su un importo unico per tutti che non tiene conto delle disparità createsi per effetto della crisi; esonerare le aziende che saranno costrette a chiudere, dal pagamento all’Inps del Ticket di licenziamento NASpI, dovuto dall’azienda all’Inps per ogni cessazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato diversa dalle dimissioni volontarie, pari a 503,30 euro annui da rapportare ai mesi di servizio, che può arrivare fino ad un massimo di 1.509,90 euro senza alcuna riduzione per i rapporti a tempo parziale. «Questi i primi interventi, minimi e necessari, da attuare se realmente si vuole dar prova, al di là degli slogan, di voler salvare il nostro Paese dal default economico», dichiara Antonio Gigliotti, segretario nazionale di Più - Partite Iva Unite.