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Brexit, Simonelli: "Allarme imprese italiane, no deal costerebbe miliardi"

AdnKronos

Roma, 16 gen. (AdnKronos) (di Roberto Grossi) - Le oltre 1000 imprese italiane nel Regno Unito "ora temono il no deal, che potrebbe pesare per miliardi". Leonardo Simonelli Santi, presidente della Camera di Commercio italiana a Londra, fa il punto dopo il voto con cui il Parlamento ha bocciato l'accordo sulla Brexit raggiunto dalla premier Theresa May con l'Unione Europea. "Ieri sera ero lì, davanti al Parlamento, per vivere un momento storico. C'era un'atmosfera che mi ha ricordato il Palio, io sono di Siena. Ora il quadro è molto difficile, si rischia senza volerlo di andare verso il 'no deal'", dice all'Adnkronos. Simonelli Santi lunedì sarà al Senato per rispondere alle domande su un tema di assoluta rilevanza. "A questo punto c'è la probabilità che, almeno per un periodo, non ci sia un accordo", dice Simonelli Santi. E la prospettiva dell'uscita della Gran Bretagna dall'Ue senza alcuna intesa "è motivo di preoccupazione per le oltre 1000 imprese italiane. Parliamo di aziende che fatturano nel complesso 25-30 miliardi di sterline e hanno 50.000 dipendenti". "Il 'no deal' comporta una serie di barriere, non solo in termine di dazi. L'interscambio tra Italia e Gran Bretagna attualmente si aggira sui 30 miliardi: se questa situazione dovesse incidere in maniera marginale, visto che sono in vigore già accordi bilaterali, sarebbe comunque una questione di svariati miliardi", sostiene. Il mosaico delle aziende italiane comprende "quattro o cinque grosse imprese. Poi ce ne sono moltissime piccole ma sono piccole per modo di dire. Alcune sono orami divenute più grandi della casa madre italiana". Tutte rischiano di dover fare i conti con nuovi ostacoli in caso di Brexit senza accordo: "Si rischia di tornare ad una situazione in cui il diritto di stare qui non è più automatico e va comunque riacquisito. Londra tende ad avere un approccio tranquillizante, ma un costo in termini di procedure potrebbe comunque incidere". Negli ultimi mesi, evidenzia Simonelli Santi, "non c'è stata una diminuzione delle imprese italiane in Gran Bretagna. Piuttosto, c'è stato un riposizionamento. E' cresciuto il settore dell'intermediazione, è calato lievemente l'investimento diretto produttivo perché l'imprenditore tende a chiedersi: produco in Inghilterra, ma a chi vendo?". "Ora -osserva ancora- c'è più attenzione verso il settore immobiliare, adesso il mercato offre condizioni più favorevoli per l'acquisto della casa. Non c'è crollo nemmeno negli arrivi dei lavoratori italiani. In passato c'è stato recentemente un boom di giovani, ora anche in questo contesto abbiamo assistito ad una riqualificazione. Non si viene più a Londra per fare il cameriere, c'è un flusso di laureati che puntano ad inserirsi nel mercato". Le aziende italiane hanno trovato terreno fertile nel "settore della salute, cresciuto moltissimo anche per la forza dell'industria farmaceutica italiana molto competitiva e capace di interagire con il sistema sanitario. Parallelamente, continuano ad arrivare qui medici italiani". Capitolo agroalimentare: "Il successo del prosecco ormai è noto a tutti, ma è l'intero comparto che continua a crescere. Tra settembre 2017 e settembre 2018 le importazioni di prodotti italiani sono cresciuti in valore, nonostante l'indebolimento della sterlina".