economia
"Dal 2000 crescita Italia vicina a zero"
Roma, 23 dic. -(AdnKronos) - Dall’inizio del 2000 fino al 2017 la ricchezza nel nostro Paese è cresciuta a un livello vicino allo zero, ovvero mediamente di appena lo 0,15 per cento ogni anno. E' quanto emerge da una ricostruzione statistica realizzata dall’Ufficio studi della Cgia che mostra peraltro come rispetto al 2007, anno pre-crisi, il nostro paese debba ancora recuperare 5,4 punti percentuali di Pil. Tra le componenti che compongono quest’ultimo indicatore economico, osserva la Cgia, nel 2017 la spesa della Pubblica amministrazione presenta una dimensione inferiore a quella di 10 anni fa di 1,7 punti percentuali, la spesa delle famiglie di 2,8 punti e gli investimenti addirittura di 24,3 punti percentuali in meno. Il dato conferma la distanza rispetto alla crescita registrata dai nostri principali partner economici dell’area dell’euro. Infatti se in Italia negli ultimi 17 anni il Pil (calcolato su valori reali) è aumentato di soli 2,6 punti percentuali , in Francia l’incremento è stato del 21,7 per cento, in Germania del 23,7 per cento e in Spagna addirittura del 31,3 per cento. L’Area dell’euro (senza Italia), invece, ha riportato una variazione positiva del 25,9 per cento. Tra i 19 paesi che hanno adottato la moneta unica solo il Portogallo (-1,2 punti percentuali), l’Italia (-5,4) e la Grecia (-25,2) devono ancora recuperare, in termini di Pil, la situazione ante crisi. Ma se la crescita è mancata - osserva la Cgia - in questo arco temporale "il rigore non è mai venuto meno". “Negli ultimi 17 anni – osserva il Segretario della CGIA Renato Mason - solo in un anno, il 2009, il saldo primario, dato dalla differenza tra le entrate totali e la spesa pubblica totale al netto degli interessi sul debito pubblico, è stato negativo. In tutti gli altri anni, invece, è stato di segno positivo e, pertanto, la spesa primaria è stata inferiore alle entrate. A ulteriore dimostrazione che in questi ultimi decenni l’Italia ha mantenuto l’impegno di risanare i propri conti pubblici, nonostante gli effetti della crisi economica siano stati più pesanti qui da noi che altrove”. Anche sul fronte della produzione industriale, lo score dell’Italia registrato in questi ultimi 17 anni è stato abbastanza deludente. Rispetto al 2000, oggi scontiamo un differenziale negativo di 19,1 punti percentuali, con punte del -35,3 per cento nel tessile/abbigliamento e calzature, del -39,8 per cento nel settore dell’informatica e del -53,5 per cento nelle apparecchiature elettriche. Di segno opposto, invece, solo gli alimentari e le bevande (+11,2 per cento) e la farmaceutica (+28,3 per cento). Se negli ultimi 17 anni la produzione manifatturiera in Italia è diminuita di 19,1 punti percentuali, nessun altro tra i principali paesi avanzati dell’Ue ha fatto peggio. Sebbene Spagna e Francia abbiano ottenuto dei risultati con scostamenti non molto diversi dal nostro, è invece significativa la performance registrata dal settore industriale tedesco. Tra il 2000 e il 2017 la produzione manifatturiera in Germania è aumentata di quasi 30 punti percentuali. Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo conferma "una fase di stagnazione secolare" ma "sebbene la ripresa si stia consolidando in tutta Europa, gli effetti positivi non stanno interessando tutte le aree territoriali e le classi sociali del nostro Paese. Il popolo delle partite Iva, ad esempio, continua ad arrancare; schiacciato come è da un carico fiscale eccessivo, da una burocrazia oppressiva e da una domanda interna che stenta a decollare”. Inoltre, aggiunge, il tema degli investimenti rimane centrale per delineare qualsiasi politica di sviluppo economico. Ma se, spiega Zabeo, "il crollo avvenuto in questi ultimi anni è stato dovuto anche ai vincoli sull’indebitamento netto che ci sono stati imposti da Bruxelles" questi li "possiamo superare se, come prevede il Fiscal Compact, introduciamo degli aggiustamenti come la golden rule. Ovvero, la possibilità che gli investimenti pubblici in conto capitale siano scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità fra gli stati membri”.