Il dibattito

Tassa sulle sigarette, parlano gli esperti: come coniugare fisco e salute

Giulio Bucchi

È vero che tassare il fumo è un esercizio ricorrente ad ogni scadenza di bilancio. Ed è anche vero che a mandare in fumo il gettito basta poco. Sembrerebbe tuttavia che questa volta si sia cambiato passo rispetto al passato, con un emendamento al Decreto fiscale che interviene su una lacuna della cauta ma apprezzabile riforma della tassazione delle sigarette introdotta nel 2014, senza aumenti di tasse. È noto come il passato sia stato segnato da una inerzia fiscale che in Italia, diversamente dagli altri paesi europei, ha portato a reiterare un sistema di tassazione delle sigarette prevalentemente ad valorem, che ha talvolta condotto a cadute di gettito senza benefici per la salute, ampliando il divario tra sigarette a basso ed alto prezzo. Perché se il consumatore può spostarsi con convenienza verso i segmenti bassi del mercato, lo fa: con buona pace del gettito e, ancor peggio, della sua salute. La riforma della tassazione delle sigarette realizzata con il Dlgs. 188 del 2014 aveva avviato un primo cambiamento, introducendo l’onere fiscale minimo ed incrementando opportunamente sia l’accisa specifica sia l’incidenza complessiva delle accise sul prezzo medio ponderato, con la previsione, entro limiti, di variarne ulteriormente con delega annuale la misura. Spostare l’ago della bilancia fiscale dalla parte ad valorem a quella specifica mostrava finalmente la consapevolezza di adeguarsi al resto d’Europa riconoscendo nella componente specifica sia la capacità di svincolare il gettito dalle scelte di prezzo dei produttori, sia la capacità di garantire una dinamica crescente dei prezzi, favorendo gli obiettivi sanitari di riduzione del consumo di sigarette. Per altro verso, però, aver introdotto l’onere fiscale minimo senza aver previsto un suo adeguamento automatico alle variazioni del prezzo medio ponderato, implicava che sulle sigarette nel segmento soggetto all’onere fiscale minimo non si trasferissero gli effetti di variazioni di prezzo riconducibili agli interventi sull’accisa, determinando così una perdita di efficacia dell’onere fiscale minimo al crescere del prezzo medio ponderato. Con l’esito – non auspicabile dal punto di vista sanitario – di favorire il divario tra sigarette a basso e alto prezzo. È quindi corretta la proposta contenuta nell’emendamento che stabilisce un adeguamento automatico dell’onere fiscale minimo all’imposta pagata in corrispondenza del prezzo medio ponderato. Al riguardo, l’emendamento propone una misura pari al 95,62 per cento, corrispondente al rapporto attualmente esistente. Per questa via, quindi, l’emendamento non introduce aumenti di tassazione sulle sigarette, ma un opportuno adeguamento automatico che consente che modifiche della tassazione si trasmettano all’intero mercato, e non al solo segmento svincolato dalla sua applicazione. Diversamente, non sarebbe chiara la ragione per cui le fasce basse di prezzo dovrebbero essere sterilizzate dalle variazioni della tassazione, dato che tutti i produttori – anche se con percentuali diverse – sono significativamente presenti in quelle fasce di prezzo. L’emendamento proposto rappresenta dunque un segnale positivo di un cambiamento della concezione della tassazione delle sigarette. Non si tratta più solo di gettito. Ma di comprensione della opportunità ormai imprescindibile di adeguare gli obiettivi di gettito agli obiettivi di tutela della salute dei cittadini, assicurando che modifiche della tassazione riguardino l’intero mercato e non solo parti di esso. Paolo Liberati, Professore Ordinario di Scienza delle Finanze – Università degli Studi di Roma Tre Massimo Paradiso, Professore Associato di Economia Politica – Università degli Studi di Bari