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Ci stangano: ecco la patrimonialeCe la impone Angela Merkel
di Claudio Antonelli Ci risiamo con la patrimoniale per risolvere i problemi del debito pubblico. Per l’ennesima volta la proposta/minaccia arriva dalla Germania, ma stavolta l’indirizzo della missiva è ben chiaro: Roma, Italia. E pure il mittente: Angela Merkel, che per tramite di due suoi stretti collaboratori manda a dire al sud Europa che le prossime manovre o i prossimi salvataggi si finanzieranno col prelievo delle ricchezze private. I due docenti Lars Feld e Peter Bofinger sono gli esponenti di punta del quintetto del Germany’s Council of Economic Experts, detto anche dei “cinque saggi”. La proposta è semplice. I ricchi cittadini del Sud Europa devono partecipare nei prossimi dieci anni al risanamento dei bilanci dei rispettivi Paesi. I loro conti correnti devono porgere entrambe le guance evitando di nascondersi in paradisi fiscali lontani dalle lunghe mani dell’Unione Europea. Angela Merkel non scherza soprattutto perché l’idea è il frutto della chiusura di un cerchio che la Ue su spinta teutonica ha cominciato a disegnare tempo fa. Prima il fiscal compact, poi la lotta al segreto bancario, poi l’esperimento di confine a Cipro (dove i salvataggi del bilancio statale e delle due principali banche sono avvenuti con il prelievo forzoso fino al 65% dei patrimoni), infine l’unione bancaria. Tra l’altro nel caso di Cipro l’argomentazione di Berlino è arrivata al momento giusto per spingere le ristrutturazioni bancarie in un’unica direzione: la massima compartecipazione dei cittadini. D’altronde il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, si fece sfuggire la frase del secolo, poi derubricata a fraintendimento linguistico. Disse che «il modello Cipro è da prendere in considerazione» per il futuro dell’Eurozona. I colleghi smentirono e in parte a ragione. Perché da Cipro molti investitori sono riusciti a fuggire prima della maxi patrimoniale. Perfezionato il sistema (senza segreto bancario raso a suolo e reale unione europea degli sportelli) nessun capitale sarà al sicuro. Almeno dentro i confini Ue. Chiarito lo schema serviva un presupposto per applicarlo. Anche se sbagliato. Pure il presupposto è semplice: gli europei del sud sono più ricchi di quelli del nord. Dunque è giusto che paghino. I tedeschi utilizzano però i dati sulla ricchezza forniti dalla Bce vecchi di tre anni. Per di più tendono a confondere la ricchezza media con quella mediana. E si spingono a conteggiare i valori patrimoniali delle case in modo totalmente distorto. Infatti, applicati pari pari i dati Bce, risulta che il Paese più ricco dell’eurozona sarebbe il Lussemburgo seguito da Cipro, rispettivamente con un patrimonio medio di 710 mila euro per nucleo familiare e 670 mila il secondo. Italia e Spagna, con 275 e 290 mila euro a testa, sarebbero ben davanti alla Germania, i cui nuclei familiari hanno un patrimonio medio di “solo” 230 mila euro. Se si considerano i redditi medi invece i tedeschi si piazzano nella parte alta della classifica con 43.500 euro. Più del doppio di Italia e Spagna. Purtroppo osservare i numeri serve a poco. Perché stiamo assistendo a scelte politiche storiche, per le quali i dati sono accessori. Lo Stato kantiano tedesco decide per conto dei cittadini e ancor di più si impone sugli altri compagni di viaggio incapaci di gestire le rispettive economie. Tant’è che la serietà della proposta dei due saggi sta nel fatto che non si tratta assolutamente di cosa nuova. È insita nel dna della Germania. Un anno fa il Diw, l’istituto di ricerche economiche di Berlino, diffuse un report molto simile alla proposta dei saggi della Merkel. Contro tutti coloro che suggerivano euro-bond (vedi Tremonti) il Diw parlò chiaramente di euro patrimoniale. All’epoca Alessandro Fugnoli, celebre strategist, analizzò i risvolti storici dell’idea. Scrisse: «I tedeschi hanno una lunga esperienza su queste cose. Nel 1913, per finanziare il riarmo, il Reich impose una patrimoniale dell’1.7 per cento del Pil. Finita (e persa) la guerra, la Germania si ritrovò con un debito pari al 180 per cento del Pil, cui si aggiunsero i risarcimenti imposti dai vincitori. Nel 1919 fu varata una patrimoniale durissima, con aliquota marginale del 65 per cento. Ci furono ingenti fughe di capitali e l’inflazione (a sua volta una tassa) rese irrisoria la riscossione in termini reali, tanto che la tassa fu fatta decadere già nel 1922». Seguì un prestito forzoso nel 1923 pari al 10% del patrimonio. L’anno dopo seguì un altro prestito forzoso solo sulle aziende. Nel 1949 fu imposta una patrimoniale del 50% da pagare in comode rate di 30 anni. Sopportabile per via della ripresa degli anni ’50 e dell’inflazione elevata. Fu finita di pagare nel 1979. Nel 1982 il governò tentò un’altra volta il colpo di mano sui patrimoni per finanziare l’edilizia convenzionata, ma fu bloccato dalla corte suprema. Che sentenziò essere incostituzionale. Non c’era, infatti, un evento straordinario come una guerra o un dopo-guerra. Ora la palla ritorna nelle mani dei tedeschi. Lo schema si ripete. A pagare saranno gli europei del sud. Non a caso il ministro delle Finanze tedesco rispose nel 2012 al Diw: «Proposta incostituzionale e irricevibile per noi», disse, «ma eccellente per gli altri Paesi». D’altronde siamo in guerra. O no? Ci salverebbero due cose. Una Thatcher in grado di riportare l’Europa nel solco del rispetto dei cittadini che lei non ha mai trattato da sudditi. Ma la morte di Margaret è avvenuta più che mai simbolicamente in questi giorni. Ci salverebbe anche la forza unita alla consapevolezza di comportarci da cittadini e non da sudditi. Ma in questo noi italiani latitiamo. Riusciamo solo a deprecare la filosofia tedesca che vince sul nostro nulla.