Contrordine, professori
Il piano dell'Europa per l'Italia: basta rigore, sconfessato Monti
di Giuliano Zulin I mercati finanziari «non si aspettano» un breakup, una disintegrazione, della zona euro. Jim O'Neill, presidente uscente di Goldman Sachs Asset Management, non lascia dubbi parlando dal workshop Ambrosetti di Cernobbio: «Ricordiamo bene quello che ha detto Mario Draghi la scorsa estate e gli operatori si sono mostrati piuttosto calmi ultimamente, malgrado le elezioni italiane». Certo è che l’Eurozona «non può sopravvivere con un’austerità costante in tanti Paesi: l’unica cosa che porta è un aumento della disoccupazione. L'Italia ha bisogno di crescita - aggiunge O’Neill - così come Spagna e Portogallo. Ci deve essere qualcosa che toglie il focus dall’austerità». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, la quale esorta Mario Draghi a tagliare ulteriormente il costo del denaro (ora allo 0,75%). Da Dublino chiede che «la politica monetaria rimanga accomodante. Pensiamo che la Bce abbia ancora un margine di manovra, anche se limitato, per abbassare i tassi». Ma soprattutto la Lagarde ritiene che i Paesi in buona salute, come la Germania, debbano aumentare i salari e favorire un leggero incremento dell’inflazione: «È auspicabile ritrovare un maggiore equilibrio attraverso livelli più contenuti di inflazione e crescita degli stipendi nel sud della zona euro, ma potrebbe anche significare prezzi più elevati e crescita delle buste paga in Germania. Anche questo fa parte della solidarietà paneuropea». Capito signora Merkel? Con questa austerity fiscale il Vecchio Continente non può più andare avanti. La ricetta tedesca, appoggiata da una Commissione Ue incapace di creare gli Stati Uniti d’Europa, è fallita, nonostante quello che diceva Olli Rehn, commissario agli affari economici e monetari, nel 2010: «La ripresa dell’economia reale in Europa si è consolidata e sta diventando autosufficiente». Sappiamo tutti com’è andata a finire... Puntare sul contenimento del deficit/Pil a tutti i costi è stata la peggiore idea del mondo: se un malato lo metti a dieta rischia di crepare, se invece gli programmi un mix di proteine e carboidrati a medio-lungo termine ha la possibilità non solo di guarire, ma di vivere meglio di prima. Il disastro in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e, fra poco, Francia, ha così convinto i professoroni di Bruxelles ad essere più «buoni» con i Paesi che sforano il 3% nel rapporto deficit/Pil. Giovedì e venerdì ci sarà il Consiglio Ue e il presidente dell’eurogoverno ha già predisposto una bozza di rottura con un «emendamento Italia»: «Nel rispetto del Patto di stabilità - anticipava ieri il documento la Stampa - potranno essere sfruttate le possibilità offerte dall’attuale cornice di bilancio per equilibrare la necessità di investimenti pubblici produttivi con gli obiettivi della politica fiscale». Insomma, le risorse che il governo italiano utilizzerà per grandi opere o incentivi saranno esenti dal «patto di stabilità». Una buona notizia, no? Peccato si sia dovuto aspettare il crollo della fiducia, dell’economia reale e dell’indebitamento pubblico. Sì, perché se il Pil precipita, il rapporto debito/Pil sale, rendendo inutile qualsiasi politica di rigore. Una bella bocciatura dunque per Mario Monti, che fino a pochi giorni fa ha insistito sul rispetto delle rigide politiche di bilancio per farsi appoggiare dalla Merkel e dai burocrati di Bruxelles in campagna elettorale e per tornare adesso in pista in un ipotetico governo tecnico. Come dire: ci ha spolpato per niente. Ora, non è che da venerdì cambierà l’Europa. Ma è un inizio. La musica potrà cambiare veramente solo dopo le elezioni in Germania. C’è da aspettare la fine di settembre.