L'analisi
"Questo è l'anno terribile per l'economia italiana". Così una potenzia mondiale ci affosserà
Se le montagne russe sulle quali sono saliti i mercati finanziari in questo inizio anno sono sembrati segnali preoccupanti, dovrebbero impaurire molto di più i dati, e le relative previsioni, che arrivano sul rallentamento dell'economia mondiale, con la conseguenza che le esportazioni italiane ne risentano al punto di rivedere il già ottimista 1,6% di Pil previsto dal ministro Pier Carlo Padoan. Il rallentamento dell'export made in Italy è già una realtà secondo i dati Istat: le vendite verso il Sud America in un anno sono calate del 25%, verso la Russia del 16,6% e verso la Cina dell'8,1%. Dati negativi che però non bastano, scrive Repubblica, a minare le esportazioni italiane, considerando che, ad esempio, quel che vendiamo in Cina rappresenta meno del 3% del totale, con qualche ripercussione più importante nel settore meccanico. Stesso discorso per le esportazioni verso Africa, Medio Oriente e America Latina che rappresentano il 13% del totale italiano. Certo non si possono ignorare del tutto i rallentamenti che arrivano dai mercati asiatici e del sud America, ma non è detto che gli effetti immediati debbano essere negativi. Il caldo della domanda del petrolio e di altre materie prime, soprattutto in Cina, può aiutare la crescita della domanda interna italiana. Lo confermano per esempio di dati di Unicredit, secondo i quali al calo del greggio del 2016 è seguito uno 0,6% di crescita dei consumi interni. La minaccia - L'osservato speciale per gli economisti italiani resta la Federal Reserve e quindi l'economia statunitense. Se la Fed dovesse smettere di aumentare gradualmente i tassi, l'euro troppo forte sul dollaro renderebbe i prodotti italiani moto meno competitivi. Il mercato americano rappresenta per l'Italia il 9% di beni e servizi venduti all'estero e nel 2015 la sua ripresa ha favorito non poco la tenuta del Pil italiano. Le minacce arrivano poi dal ritorno al negativo dell'inflazione, temuta da Draghi, quindi la contrazione dei prezzi delle materie prime e la riduzione degli adeguamenti salariali per i prossimi anni. E poi c'è il perdurare del clima di incertezza, che potrebbe influenzare le decisioni delle grandi aziende e convincerle a procrastinare gli investimenti previsti per l'anno corrente. Nel 2014 uno scenario di questo genere è costato almeno lo 0,6% del Pil. Sia il Governo che gli analisti di Unicredit rimangono ottimisti, i primi per la speranza riposta nella legge di Stabilità, i secondi per gli indicatori di fiducia ancora a livelli elevati. Non resta che aspettare che la produzione aumenti davvero e la disoccupazione diminuisca, solo allora l'ottimismo sarà davvero giustificato.