linea ambientalista
Mar Adriatico, dietro front di Renzi: stop alle trivellazioni
«Stiamo chiedendo di verificare se ci sono spazi per la ricerca e l' esplorazione. Che nell' Adriatico si intervenga nella parte croata e balcanica e da noi non si possa fare ricerca è una contraddizione in termini». A parlare così, lo scorso agosto, era Matteo Renzi, impegnato davanti alla direzione del suo partito a difendere il decreto Sblocca Italia, che sarebbe diventato legge nel giro di poche settimane. Quattro mesi dopo, il governo ha fatto una marcia indietro completa, cancellando lo snellimento delle procedure per eseguire le esplorazioni in mare. Un emendamento dell' esecutivo, inserito nel testo definitivo delle legge Stabilità, sospende infatti tutti gli iter di autorizzazione in corso per la ricerca o lo sfruttamento dei giacimenti in mare entro le 12 miglia dalla costa (cioè entro i 19,3 chilometri). Vengono fatti salvi i soli permessi (pochissimi) già rilasciati dalle Regioni. Abrogata anche la norma che prevedeva l' emanazione, con decreto del ministro dello Sviluppo economico, di un piano delle aree in cui sono consentite le attività di ricerca di idrocarburi. Inoltre si stabilisce che, senza il parere della Regione interessata, la procedura di autorizzazione allo sfruttamento di nuovi giacimenti resterà bloccata. Secondo le prime ipotesi, elaborate dal quotidiano di Confindustria Il Sole-24 Ore, i giacimenti nazionali di petrolio e gas cui l' Italia dovrà rinunciare in seguito al ripensamento del governo saranno almeno nove. Tra questi, sfumeranno di sicuro i due progetti di esplorazione più avanzati: il progetto Elsa, nel golfo di Taranto (mar Ionio), che fa capo alla società irlandese Petroceltic, e il progetto Ombrina, della compagnia britannica Rockhopper Exploration, situato nel mare Adriatico, davanti alle coste abruzzesi. Capitali stranieri che se ne vanno, e non saranno i soli. La ricerca di idrocarburi al largo delle coste italiane, ritenuta strategica dal premier sino a pochi mesi fa, adesso non lo è più. Almeno non quanto la necessità di salvare la pelle. Il motivo della marcia indietro di Renzi è infatti tutto politico: il premier ha cambiato le regole allo scopo di far saltare i referendum richiesti da dieci consigli regionali (in base alla Costituzione ne sarebbero bastati cinque) su impulso dei comitati No Triv e proposti anche da Possibile, lo schieramento di Pippo Civati. Obiettivo dei quesiti, che hanno passato il vaglio della Cassazione e attendono adesso il via libera della Corte Costituzionale, è infatti proprio quello di impedire le trivellazioni. Un serio rischio politico per il governo: se approvati dalla Consulta e votati dagli elettori, i referendum - destinati con ogni probabilità a essere calendarizzati la prossima primavera - indebolirebbero l' esecutivo e il suo leader. Esultano gli ambientalisti. Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente, gioisce per il «dietrofront del governo», che ieri, cambiando la normativa, secondo lei «ha ammesso ufficialmente che l' estrazione di petrolio non è un' attività strategica per l' Italia». Parla di «vittoria» anche il Coordinamento No Ombrina. Chi non esulta sono i promotori del referendum. Per Civati quella del governo è «una grande truffa» che non ferma le trivellazioni e il cui scopo reale è «annullare la volontà popolare». Civati chiede ai presidenti delle dieci regioni i cui Consigli hanno promosso i quesiti referendari (tra queste anche alcune regioni governate dal centrodestra) di impugnare di fronte alla Corte costituzionale la legge di Stabilità per la parte che riguarda le trivelle. Per i grillini, ovviamente, «è necessario arrivare ad una moratoria completa» di tutte le perforazioni. di Stefano Re