La riforma
Riforma pensioni: via i limiti d'età con 41 anni di contributi
Dopo la guerriglia per il Jobs Act si apre un altro fronte per il governo: la riforma del sistemo pensionistico. Dopo le modifiche attuate dalla riforma del governo Monti-Fornero del 2012, i tecnici del ministero del Lavoro, dell’Inps, del Tesoro stanno lavorando per un nuovo piano previdenziale. L’ipotesi è quella di intervenire sulla doppia indicizzazione, che lega il progressivo crescere della speranza di vita sia ai requisiti di età per la vecchiaia (fino a 66-67 anni e oltre) sia all’anzianità per la pensione anticipata (arrivata a oltre 42 anni di contribuzione per gli uomini). Il piano - Le due indicizzazioni hanno prodotto l’effetto di tenere in stand-by milioni di lavoratori, costringendoli a rimanere in azienda fino a sei-sette anni in più. L’idea, come racconta La Stampa, è ora quella di una parziale ma significativa marcia indietro: fissare un limite massimo entro un certo arco di tempo l’anzianità contributiva a 41 anni, svincolandola dai limiti di età. Tra l’altro la misura avrebbe anche l’effetto di sanare la questione esodati, senza costringerli a restare senza lavoro e senza pensione. Secondo le ultime stime agli ufficiali 185mila salvaguardati dovranno essere aggiunti altri 130mila esodati, attualmente senza tutele, per un totale di 315mila. Inoltre nel piano della riforma dovrebbe entrare in campo anche il prestito pensionistico: un assegno di 700 euro al mese per chi va via prima da restituire a rate al momento del raggiungimento dei requisiti di pensione. La busta arancione e il prestito - Per questo dovrebbe un’idea del governo Letta: dare a chi esce in anticipo, misura che potrebbe servire anche per esodati e precoci. L’altra novità è quella della cosiddetta busta arancione. Consiste nel ricevere via posta o di consultare online l’estratto conto dei propri contributi, insieme alla simulazione dell’ammontare della futura pensione: uno strumento indispensabile con l’avvento del sistema contributivo, per ripristinare e dare a tutti responsabilmente la possibilità di scegliere il momento di andare in pensione, secondo parametri soggettivi, anziché subire lunghe e indesiderate permanenze al lavoro o forti penalizzazioni. Pensioni in calo - Intanto per il 2015 chi è già in pensione non avrà soldi in più. L'indicizzazione in base all'inflazione sarà infatti solo dello 0,3% mentre il dato definitivo 2014 è stato fissato all'1,1% contro l'1,2% provvisorio. Quindi, riporta il Corriere, dovrà essere restituito lo 0,1%. La pensione minima lorda salirà dai 500,88 euro del 2014 ai 502,38 euro del 2015: appena un euro e mezzo in più al mese. La rivalutazione si applica in pieno agli assegni non superiori a tre volte il minimo, cioè fino a 1.502,64 euro lordi. Sopra c’è un adeguamento parziale a scalare. E oltre 14 volte il minimo, cioè 7.012,32 euro lordi al mese, scatta il contributo di solidarietà introdotto dal governo Letta: del 6%, che diventa del 12% sopra 10.017,60 euro e del 18% oltre 15.026,40.