La sfida

Matteo Renzi, cosa accade se sfonda il tetto del 3%

Andrea Tempestini

Per Matteo Renzi, al via del suo tour nel Vecchio Continente, "il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil" imposto dai trattati europei "è decisamente anacronistico". Un attacco frontale, quello del premier, a quanto stabilito dal patto di stabilità. Renzi assicura che "comunque il deficit non sfonderà il tetto", ma il dado è tratto. La sfida, insomma, è iniziata. Il premier vuole presentarsi a Bruxelles con un pacchetto di riforme con "scadenze certe" e "coperture molto ampie". Quindi ha rincarato: "Non temo un'Europa che ci fa le pulci, perché l'Ue, o cambia, o finisce vittima degli euroscettici". Insomma, il presidente del Consiglio è consapevole che il suo piano di riforme, nonostante le assicurazioni, potrebbe portare l'Italia a violare i patti-capestro imposti dall'Unione europea. La strada - Margini per poter sforare il tetto, seppur ristretti, ci sono. La via più ortodossa prevederebbe di inoltrare la richiesta a Bruxelles solo in autunno, quando l'esecutivo, ammesso che i tempi vengano rispettati, potrebbe aver aumentato la propria credibilità in sede continentale (a quel punto, la Commissione europea potrebbe accettare delle deroghe per una serie di investimenti specifici). Ma anche la via più ortodossa, alla quale con tutta probabilità Renzi potrebbe ricorrere in autunno, non è affatto detto che porti il premier ad ottenere i suoi obiettivi. Infatti, un documento segreto dell'Eurogruppo che circola in queste ore nelle cancellerie degli stati europei, mette nero su bianco che l'Italia "non rispetta pienamente l'aggiustamento strutturale minimo dei conti", sia per il 2014 sia per il 2015. Dunque, nonostante l'ortodossia, il Belpaese potrebbe non ottenere nessun margine per la flessibilità. La gabbia e le cifre - Il punto è che l'Italia si trova già in gabbia. In primis, il Fiscal Compact fu firmato il 2 marzo 2012, e il 20 aprile 2012 il Parlamento italiano lo integrò nella Costituzione, assicurando anche il pareggio di bilancio. Tra gli impegni, quello di ridurre dal 2016 il debito in modo consistente, anno dopo anno. Le cifre, però, non ci aiutano. Come ricorda Stefano Lepri su La Stampa, nel medio periodo il debito pubblico non dovrebbe aumentare. Peccato però che con un debito di 2.070 miliardi e un Pil di 1560 miliardi, se in un anno la prima delle due grandezze cresce di 46,8 miliardi (tre centesimi di 1.560), per evitare che il rapporto salga la seconda deve salire di almeno il 2,3 per cento. Ma sommando la crescita reale e l'aumento dei prezzi, il Pil può dunque salire al massimo di 2,5 punti circa. Insomma, il debito italiano, se non cambia qualcosa, è destinato a scendere di cifre infinitesimali. Il progetto - Senza un cambio di marcia, senza un programma preciso, dunque, con cui assicurare un piano di rientro, Bruxelles non sarà disposta a concedere nulla (inoltre, ora il governo Renzi non parla nemmeno più delle privatizzazioni che erano state consigliate al Belpaese, puntando tutto, o quasi, sulla spending review e sul lavoro del commissario Carlo Cottarelli). L'obiettivo imposto dall'Europa è riportare il debito pubblico al 60% del Pil entro il 2032 (e quest'anno, secondo le proiezioni, il debito salirà tra il 134% e il 137%). Cifre che sembrano inchiodare l'Italia, insomma. Cifre con le quali, nonostante l'animo battagliero, difficilmente Renzi potrà convincere le autorità europee e, soprattutto, Angela Merkel. Al premier resta da giocarsi la "carta" di sfondare il tetto del 3% senza ottenere alcuna concessione. Ma cosa succederebbe, in questo caso? La sanzione - Le conseguenze sarebbero molteplici, e non sono solo legate a un ulteriore aumento del debito, che graverebbe ancor di più sulle future generazioni (un dato interessante: quando per la prima volta la regola del 3% fu fissata dal trattato di Maastricht nel 1992, il debito pubblico italiano era pari al 120%). La prima reazione dell'Europa, in caso di sforamento, sarebbe un semplice "avvertimento preventivo", una sorta di avviso per mettere Roma sul chi va là. Se quindi non fossero adottate misure correttive nella politica di bilancio, scattano le sanzioni, che si declinano in un deposito infruttifero da convertire in ammenda dopo due anni di deficit eccessivo. Una multa salata, salatissima. L'ammontare della sanzione, infatti, è composto da una componente fissa pari allo 0,2% del Pil (pari a oltre 3 miliardi di euro, calcolata sui dati del Pil relativi al 2013) e da una componente variabile pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3 per cento. Viene comunque previsto un tetto massimo all'entità complessiva ddella maxi-multa, pari allo 0,5% del Pil. L'azzardo di Renzi, insomma, potrebbe costarci molto caro.