I nuovi scenari

Lavoro, nel futuro degli italiani pensione sempre più lontana

Giulio Bucchi

di Francesca Sperotti* Il 2012 è stato celebrato come l’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni. Se ne sono accorti anche i cittadini italiani. Non tanto e non solo per l’attenzione prestata dalle istituzioni europee al tema dell’ageing e alle sfide che questo cambiamento comporta in un contesto già aggravato dagli effetti della pesante crisi economica e finanziaria in atto. È stata semmai la drastica riforma delle pensioni firmata dal ministro Fornero, con la tormentata vicenda degli esodati, a far comprendere  l’estrema gravità del problema se non affrontato con la giusta attenzione e lungimiranza. Il problema dell’invecchiamento demografico non risiede tanto nel continuo aumento del numero delle persone over 65 sul totale della popolazione (dal 17,4% registrato nel 2010 al 30% previsto per il 2060) e neppure nel previsto raddoppio dell’indice di dipendenza degli anziani, cioè del rapporto tra popolazione di età superiore a 65 anni e popolazione tra i 15 e i 64 anni, dal 28,4% (2010) al 58,5% (2060) (Eurostat, Demography report 2010, marzo 2011). Il vero problema risiede piuttosto nell’incremento dell’indice di dipendenza economica ovvero della percentuale dei pensionati e dei disoccupati sugli occupati. In altri termini, lo squilibro tra il numero di contribuenti e gli aventi diritto alla pensione. Basti pensare che l’attuale mercato del lavoro europeo non può contare sulla piena partecipazione - e quindi contribuzione - di giovani (uno su 4 è disoccupato), donne (nel 2011 solo il 62.3% era occupato) e immigrati (i cui tassi occupazionali sono in media 4 punti percentuali inferiori a quelli dei nazionali). Situazione che rende ulteriormente gravosa la sostenibilità dei sistemi pensionistici che rappresentano una crescente percentuale sulla spesa pubblica:  in media nella Ue-27 oltre il 10% del Pil. A fronte di tale scenario, il gruppo d’età 50-64 anni, che conta più di 58 milioni di persone, e quello degli over 65, costituito da oltre 4 milioni di europei, sono divenuti centrali nell’agenda politica europea. L’obiettivo della strategia Europa 2020 di avere un tasso di occupazione del 75% della popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni entro i prossimi otto anni, infatti, implica inevitabilmente la necessità di migliorare i tassi di partecipazione degli older workers. Esigenza già percepita ai tempi della «Strategia di Lisbona» che per il decennio 2000-2010 aspirava – senza  riuscirci – a innalzare il tasso di occupazione delle persone tra i 55 e i 64 anni dal 36,9% al 50%. I regimi pensionistici sono indubbiamente uno dei principali fattori che influenzano l’offerta di manodopera e il tasso di dipendenza economica. E le età alle quali si viene ammessi al pensionamento normale e a quello anticipato sono parametri che incidono notevolmente sui tassi di partecipazione. Ciò spiega le raccomandazioni della Commissione europea contenute nel Libro Bianco. Un’agenda dedicata a pensioni adeguate, sicure e sostenibili (16 febbraio 2012) per disincentivare il pensionamento anticipato, da un lato, e allungare il periodo di vita attiva dei lavoratori e quindi innalzare l’età pensionabile, dall’altro. Le riforme dei regimi pensionistici già approvate negli Stati Ue si muovono in questa direzione. Svezia e Ungheria hanno abolito il prepensionamento (rispettivamente nel 2003 e nel dicembre 2011) mentre Austria, Belgio, Italia, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca e Spagna hanno inasprito le condizioni per accedere alla pensione anticipata. La misura che invece ha accomunato la quasi totalità dei Paesi europei negli ultimi anni, volta sempre a incrementare i tassi occupazionali degli older workers, è consistita nell’innalzamento dell’età pensionabile tanto che, come riportato dall’Ocse pensions at a glance 2012, il 67simo anno di età sta diventano la soglia di separazione tra vita attiva e pensionamento. La reale possibilità di aumentare il tasso occupazionale delle persone tra i 50 e i 70 anni, tuttavia, non può dipendere solo da riforme tese ad aumentare meccanicamente l’età del pensionamento. Dipende anche  da migliori condizioni di lavoro per uomini e donne «anziani». Richiede un adeguamento dei luoghi di lavoro e dell’organizzazione, la promozione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e della conciliazione fra attività lavorativa e vita privata, misure per sostenere un invecchiamento sano, e lotta alle discriminazioni basate sull’età. In altri termini, l’adozione di un approccio di active ageing affinchè sia possibile non solo lavorare più a lungo, soddisfacendo così i vincoli di bilancio, ma soprattutto lavorare meglio. Dal punto di vista quantitativo, nella Ue a 27 il 57,5% delle persone tra i 50 e i 64 anni è occupato ma con grandi differenze tra uno Stato e l’altro (si veda la tabella). Svezia (77,4%), Norvegia (74,5%) e Germania (68,2%) sono i Paesi che presentano i più alti tassi occupazionali, mentre fanno da fanalino di coda Malta (40,0%), Polonia (48,4%) e Slovenia (46,8%). Dal punto di vista quantitativo, invece, sul totale della popolazione europea «old»  solo il 29% si dichiara soddisfatto della propria condizione lavorativa (Eurobarometer, gennaio 2012). Dati che evidenziano che c’è ancora molto da fare per un active ageing della forza lavoro europea. In termini di adeguamento dei luoghi di lavoro e organizzazione, il contratto a tempo parziale e soprattutto la possibilità di combinare tempo parziale e pensione parziale vengono individuati come strumenti in grado di rispondere sia alle necessità personali espresse dalla popolazione più anziana – nel 2010 il 15,9% degli occupati part time tra i 50 e i 64 anni affermava che la scelta di questa forma contrattuale era dettata dall’esigenza di  svolgere contemporaneamente  responsabilità famigliari o personali (Eurostat, 2010) – sia di perseguire l’obiettivo macroeconomico di incrementare l’offerta di forza lavoro. Nel 2011 circa un quinto degli occupati nella fascia  50-64 anni (20,2%) aveva un contratto part time, mentre per gli over 65 tale dato era pari al 56.7% (Eurostat, 2011). Per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, i dati mostrano che, tra gli over 54, meno di un adulto su cinque risulta coinvolto in attività di istruzione e formazione. Un numero ancora troppo basso considerata la sfida posta dal declino delle competenze con l’avanzare dell’età. Il processo di invecchiamento, tuttavia, non implica solo un rischio di obsolescenza delle competenze, ma anche di perdita delle stesse se non se ne prevede un adeguato trasferimento alle generazioni più giovani. Poche sono ancora le esperienze europee in tale ambito. In Spagna, ad esempio, la Global strategy for the employment of older workers 2012-14 include un programma di incentivi per il tutoraggio dei giovani da parte dei lavoratori anziani per i lavori autonomi. Una simile pratica, ma per tutte le tipologie lavorative, è contemplata tra gli obiettivi della «Strategia nazionale per l’invecchiamento attivo» portoghese. In Francia, il programma intergenerazionale «Generazioni e talenti» di Alcatel-Lucent e dell’Apec (agenzia di collocamento francese) promuove una cultura di solidarietà tra generazioni sul posto di lavoro favorendo lo sviluppo e il trasferimento di competenze nell’arco di tutto il percorso professionale (European employment observatory review, 2012). Oltre a ciò, va salvaguardata la salute, la sicurezza e il benessere dei lavoratori più anziani sul posto di lavoro, condizione essenziale per una loro migliore e maggiore partecipazione al mercato del lavoro. Problemi fisici, cardiovascolari, e respiratori sono infatti maggiormente presenti tra la forza lavoro senior e sono causa dell’interruzione dell’attività lavorativa o di una sua riduzione. La rotazione dei compiti lavorativi può, ad esempio, essere utilizzata per ridurre i carichi di lavoro e minimizzare gli effetti di mansioni stressanti o fisicamente faticose. L’invecchiamento della forza lavoro europea impone dunque un’inversione di rotta nelle logiche pensionistiche e di lavoro. Le riforme delle pensioni, se non adeguatamente accompagnate da misure di invecchiamento attivo, difficilmente saranno in grado di migliorare la quantità e la qualità dell’occupazione dei lavoratori anziani e di soddisfare i bisogni di un mercato del lavoro che cambia. *Ricercatrice Adapt