L'uomo di Obama per la Banca mondiale

Giulio Bucchi

Obama ha scelto il president (rettore in italiano) del Dartmouth College (New Hampshire), Jim Yong Kim, come candidato degli Stati Uniti alla presidenza della Banca Mondiale, ora che il posto è vacante per le dimissioni dell’americano Robert Zoellick. Kim, 53 anni, è nato in Corea ma da 48 anni vive negli Usa, dove si era trasferita la sua famiglia. Medico, con laurea alla Brown e diploma di specializzazione ad Harvard, Kim si è dedicato alla soluzione dei problemi sanitari e della povertà nelle aree più disgraziate del mondo, da Haiti all’Asia e all’Africa, creando e lavorando per programmi internazionali di assistenza. Dopo una carriera nelle organizzazioni mondiali della salute nel 2009 è stato nominato, primo coreano-americano, presidente di una delle otto università cosiddette Ivy League, le più esclusive del sistema educativo statunitense (le altre sono Harvard, Columbia, Yale, UPenn, Brown, Cornell, Princeton). Siccome se non si è liberal non si diventa capi di una Ivy League, dove a prevalere percentualmente tra i quadri delle facoltà sono di gran lunga docenti con simpatie di sinistra, la scelta di Kim è perfettamente in linea con l’ideologia obamiana. Nel merito della sua professionalità quale esperto di malattie da debellare (la tubercolosi è la sua specialità, ma si è anche impegnato a fondo contro l’Aids), i titoli e le esperienze di Kim sembrano l’ideale per metterlo a dirigere l’istituzione globale che spende soldi (dei contribuenti dei paesi occidentali in grandissima proporzione) per salvare milioni di vite a rischio nelle aree diseredate del mondo. Ma l’essere luminari in un campo tecnico non garantisce affatto di poter essere validi amministratori. Gli americani l’hanno imparato quando Obama ha fatto ministro dell’energia un Nobel della Fisica, Steven Chu (cinese-americano) che poco prima dell’incarico, nel 2008, disse che non gli importava se il prezzo della benzina fosse andato alle stelle. Anzi che era meglio, perché  così diventavano competitive le fonti alternative rinnovabili. Chu sarà pure un Nobel, ma facendosi guidare dalla religione del global warming si è rivelato un disastro: il suo ministero è quello che ha partorito la scandalo Solyndra (azienda fallita di pannelli solari che si è mangiata 500 milioni di fondi federali e ha licenziato 100 addetti) e il caro-pompa sta rischiando di provocare una nuova recessione. Che cosa combinerà alla Banca Mondiale Kim è tutto da vedere, ma per un buon uso dei soldi pubblici negli Stati del terzo e quarto mondo conta di più che la World Bank riconosca, e combatta, la corruzione dei politici locali prima di firmare gli assegni per mandare in Asia o in Africa i camion con le siringhe, per non parlare delle emissioni di “prestiti” o di finanziamenti a fondo perduto. A guardare alla breve esperienza poco più che biennale da rettore del Dartmouth College, nei commenti dei suoi studenti riportati nel giornale universitario, Kim esce come una grande delusione.  “Kim non è popolare per molti studenti” ha scritto Peter Blair in un editoriale della rivista del college  nell’aprile 2011 (questo il link) . “Quasi tutti quelli con i quali abbiamo parlato hanno espresso in qualche misura un serio senso di disillusione… sentimenti di rabbia, tradimento e paura esistenziale. Avevamo tante speranze in lui, ma Kim ci ha deluso”. In particolare, a scatenare il malcontento degli studenti, ma anche di molti professori, era stata la riluttanza del rettore nell’essere trasparente sulle spese dell’organo, presieduto da lui, che governa il college. I ragazzi e le ragazze stravedevano per questo personaggio dalle credenziali brillanti, e che non era certo meno liberal di quanto non lo fosse la maggioranza degli stessi universitari, e si sono risvegliati quando hanno sperimentato la sua direzione concreta. “Superman è stato smascherato, e noi ci siamo ritrovati con un ordinario, fallibile Clark Kent….”, si legge nel profilo. Se tanto darà tanto, chi si lamenterà non saranno giovani universitari in cerca di una maggiore trasparenza gestionale per la loro privilegiata istituzione, ma persone che hanno bisogni esistenziali, in senso proprio, ben più drammatici. Con la sua scelta Obama ha fatto una operazione diplomatica nel filone del cosmopolitismo. Di fronte ad un mondo sempre meno disposto ad accettare la regola non scritta che a presiedere la Banca Mondiale deve essere un americano (mentre il Fondo Monetario va all’Europa), Barack ha lanciato uno che è nato in Corea, anche se è americano dalla prima elementare. Mossa astuta per fare sì che alla votazione del board della Banca, il mese venturo, vinca comunque un candidato con il portafoglio di Washinghton anche se di razza asiatica. Ma, sul piano domestico, ciò espone Obama alla critica degli americani assertori del buon diritto di guidare la World Bank, visto che gli Usa sono i maggiori contributori: così come lo sono per l’Onu e il Fondo Monetario dove gli Usa sono già per definizione fuori gioco. Nella campagna elettorale il candidato del GOP potrebbe insomma citare questa nomina come l’ennesimo esempio di cessione di sovranità sull’altare di un multinazionalismo che chiede sempre tanti dollari agli Usa, ma insieme pretende di ridurre il suo peso nelle cose del mondo. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi