Obama è per le nozze gay. Ma non lo può dire
Obama potrebbe essere il primo candidato presidente a rompere il tabù dell’appoggio alle nozze gay. Dall’interno del suo partito montano le pressioni per un annuncio che sarebbe rivoluzionario sul terreno sociale, ma il presidente va con i piedi di piombo e centellina le aperture in parallelo con l’evoluzione dell’argomento nei sondaggi nazionali e statali. Un recente sondaggio del Wall Street Journal-NBC ha mostrato che il 49% degli americani sono oggi a favore del matrimonio tra gay, in rapida crescita dal 40% rilevato nel 2009, appena dopo l’ingresso di Barack alla Casa Bianca. Che il presidente più liberal della storia americana recente sia intimamente a favore del diritto dei gay a sposarsi non ci sono dubbi. Tra l’altro, ha nominato un gay dichiarato suo capo delle cerimonie e nel suo stesso governo il ministro dello Sviluppo Urbano Shaun Donovan nell’autunno scorso si è espresso “assolutamente” per le nozze omosessuali. Sempre secondo il sondaggio WSJ citato, tra i democratici l’appoggio è in forte crescita, di 12 punti dal 2009, ed ora è al 67%. Ma anche tra gli indipendenti e nel GOP il trend è lo stesso: dal 37% di tre anni fa gli indipendenti pro gay sono ora il 46%, mentre i Repubblicani sono quasi alla soglia di uno su tre, essendo balzati di nove punti dal 22% al 31%. Ma perché il presidente faccia l’outing, la dichiarazione formale, di essere a favore delle nozze omosessuali, non bastano i dati nazionali. Le elezioni si decidono negli Stati ballerini, come l’Ohio, la Pennsylvania, la Florida, il New Messico, ed uscirsene pubblicamente schierandosi con i gay potrebbe essere un suicidio davanti a quegli elettorati. Negli Stati del nord-est la maggioranza della popolazione è composta di tradizionalisti, religiosi, pro famiglia, e prenderebbero male il messaggio pro gay. In Florida e nel New Mexico, al sud, vivono moltissimi sudamericani e cubani, tendenzialmente cattolici, e reagirebbero anch’essi negativamente. Oltretutto, se dal campo del Gop uscisse Mitt Romney, la vecchia posizione di quest’ultimo a favore dei diritti dei gay, che gli sta creando oggi qualche difficoltà tra i conservatori nelle primarie, lo metterebbe praticamente sullo stesso piano dell’Obama titubante. Se la sfida fosse con Rick Santorum, ultracattolico e anti gay, Obama non avrebbe bisogno di posizionarsi su un fronte radicalmente liberal per tirarsi dietro non solo i progressisti ma anche gli indipendenti. Nel 2008, da candidato, Obama aveva sostenuto le unioni civili, ma si era opposto al matrimonio tra gay, e poi, via via che vari Stati avevano fatto passare leggi che rendono legali le nozze omosessuali (il più grande e importante è stato nel 2011 lo Stato di New York) ha mandato segnali di “evoluzione” della sua posizione. Ora le voci ufficiali tra i Democratici che chiedono di trarre il dado sono pressanti. Pochi giorni fa il sindaco di Los Angeles Antonio Villaraigosa, presidente della Democratic National Convention, ha chiesto che la questione sia inserita nella piattaforma del partito, così come aveva sostenuto in precedenza Nancy Pelosi, la ex speaker della Camera. Evan Wolfson, gay e presidente del gruppo pro gay Libertà di Sposarsi, sta facendo pressing da tempo su Obama, e ha detto che la linea di Barack su questo tema è “la sola falsa nota” del suo programma politico. “Fa male a lui e fa male a noi”, ha accusato. Ma il presidente fa i suoi calcoli al millesimo su tutti i fronti, e deciderà prima di novembre quale posizione assumere. Ma al massimo partorirà una frase di compromesso, dicendo di “essere a favore – personalmente- con le nozze omosex” ma si guarderà bene dal proporre la loro introduzione come legge federale. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi