Obama ha molti giornalisti amici: li arruola
Un record di Obama che era passato inosservato finora è stato rivelato dal Washington Examiner, testata di gossip della capitale. Riguarda il rapporto con giornalisti e influenti managers dei media, non solo quello di amicizia ma proprio quello di assunzione, che la Casa Bianca ha sviluppato con 19 di loro dal gennaio 2009. Non era mai successa una migrazione così massiccia da personaggi del quarto potere al primo, ma evidentemente il trasporto di adesione all’obamismo della stampa non ha saputo mantenersi mascherato nelle organizzazioni editoriali, e si è trasformato nell’arruolamento puro e semplice. Contenti gli ex giornalisti di servire la causa politica, e contento Barack di circondarsi di personale esperto nel labirinto delicato della informazione, con una via d’uscita privilegiata verso la propaganda. Cinque dei 19 sono stati prelevati dal Washington Post, il giornale del Watergate che fece la guerra (e la vinse) contro Richard Nixon. Tre per ognuno sono arrivati dai network televisivi di grido, ABC e CNN. L’ultimo è stato Stephen Barr, del Washington Post, che è stato assunto al ministero del Lavoro, mentre la maggior parte sono negli uffici delle comunicazioni e degli speechwriters. Il più noto è adesso Jay Carney, diventato portavoce del presidente dopo l’uscita di Robert Gibbs, che aveva un pessimo rapporto con Michelle Obama. Carney era stato il capo dell’ufficio della capitale per il Post e prima di servire Barack era stato il press officer per Joe Biden. Ma se uno pensa che con questo esercito protettivo Obama non abbia comunque i suoi problemi con la stampa è fuori strada. Non è mai contento di ciò che viene pubblicato, anche se è stato dimostrato da vari studi che nei giornali e nelle Tv prevalgono tradizionalmente redattori di sinistra. Nel 2002, una ricerca di Jim A. Kuypers del Dartmouth College (Press Bias and Politics, Inclinazioni della stampa e Politica) su 116 maggiori testate, compresi New York Times, Washington Post, Los Angeles Times e San Francisco Chronicle, concluse che gli articoli pubblicati avevano favorito i punti di vista liberal, di sinistra, su temi come la razza, la riforma del welfare, la protezione ambientale e il controllo delle armi. In un sondaggio condotto dalla American Society of Newspaper Editors nel 1997, era emerso che il 61% dei reporter avevano dichiarato di essere membri o di condividere le idee del partito Democratico, con soltanto il 15% schierato per il GOP. Un quarto si era dichiarato indeciso o indipendente. E nel 2008, l’anno di Obama, dal personale delle tre TV generaliste più viste, NBC, CBS e ABC, furono fatte donazioni per 1.020.816 dollari a favore dei Democratici da 1160 dipendenti, mentre soltanto 193 contribuirono 142.863 dollari al GOP. Una frazione di “avversari”, eppure, il presidente non si sente sicuro, e agisce di conseguenza sul piano legale. Al punto di prendersi un severo rimprovero da arte di Jake Tipper, corrispondente della Casa Bianca per ABC News. Tipper ha stigmatizzato il fatto che l’amministrazione, che si è ripetutamente espressa a favore dei giornalisti che rischiano la vita in Siria e altrove per far emergere la verità sull’operato dei governi, si è troppo impegnata in patria, finora, nel reprimere aggressivamente il giornalismo aggressivo utilizzando la legge contro lo spionaggio, Espionage Act, per trascinare sotto processo i funzionari delle agenzie governative che sono disposti a parlare con i reporter, i cosiddetti whistle-blowers”. Insomma, la libertà di stampa coraggiosa va bene a Damasco, ma se tocca Obama va perseguita e punita. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi