Gli aiuti di stato di Obama? Un flop

Giulio Bucchi

Quanti posti di lavoro hanno creato gli 800 miliardi di dollari di stimolo votati dal Congresso quando era controllato dai Democratici, nel 2009, su diretta richiesta di Obama? Il tasso di disoccupazione generale è ora allo stesso livello (8,3%, con la previsione di Gallup che risalirà in febbraio) di quando i soldi delle tasse dei contribuenti sono stati destinati dal governo a “investimenti” e a sconti fiscali temporanei. Quindi sul piano macroeconomico l’iniziativa può essere iscritta tra quelle che condannano il keynesismo, la teoria secondo cui la spesa pubblica stimola i consumi e i dollari, magicamente, si moltiplicherebbero nella economia reale creando “ripresa”. In realtà, tre anni dopo la fine della recessione (giugno 2009) il PIL è ancora in crescita asfittica (l’1,7% medio nel 2011) e il normale “rimbalzo” che si manifesta di solito nei primi due o tre anni del nuovo ciclo non si è ancora visto. Se si scende poi ad analizzare i risultati nel concreto, e su un campione significativo proprio perché riguarda il settore preferito dal presidente, l’energia verde, gli esiti sono chiarissimi: lo stimolo è  stato un fallimento. Il Wall Street Journal ha rivisto i casi di aziende che hanno beneficiato di un totale di una decina di miliardi di “stimolo”, e ne sono emersi numeri imbarazzanti. E ciò a dispetto dei “100 mila posti direttamente creati dal piano 1603 dedicato alle società di energia rinnovabile”, che è il bilancio strombazzato da Obama. In dettaglio, i 10, 7 miliardi del piano 1603 sono stati distribuiti tra 31.540 progetti, secondo il Tesoro, e avrebbero creato 102.883 posti. Ma i reporter del WSJ “hanno trovato prove per molti di meno”. Circa il 40% dei fondi, 4,3 miliardi, sono per esempio finiti a 36 società di energia eolica, che durante il picco delle assunzioni dovuto alla costruzione materiale degli impianti hanno impiegato 7200 lavoratori, circa 200 in media per ognuna. Ora queste iniziative, tutte insieme,  impiegano circa 300 dipendenti stabili, secondo fonti ufficiali interne alle imprese. La Cedro Hill del Texas, per esempio, è passata dai 531 della fase di costruzione del 2010 ai 44 attuali, di cui pochissimi locali. E la società di private equity Wayzata Investment Partners non ha invece creato né posti né energia, finora, con i 6,5 milioni di dollari ricevuti per fare uno stabilimento in Montana, a Thompson Falls. La compagnia aveva il permesso per bruciare legna e carbone per fare energia e la Wayzata aveva messo 20 milioni dei suoi clienti-investitori  per rispettare i requisiti chiesti dal governo per godere del Piano 1603. Finita la costruzione della fabbrica, la Wayzata comunicò al Tesoro che avrebbe usato solo legna per rientrare nelle caratteristiche previste dal Piano 1603, che esclude le aziende che bruciano carbone. Ma avendo capito che non poteva fare profitti solo con il legno si rivolse al Tesoro per farsi pagare i milioni necessari per i macchinari adeguati. La domanda è stata accolta e i soldi sono stati versati nel giugno 2010. Da allora, la Wayzata non ha mai prodotto energia e ora ha messo in vendita lo stabilimento. Nell’articolo del WSJ ci sono tante altre situazioni simili. Qualche mese fa, fu lo scandalo della Solyndra, azienda di pannelli solari californiana che fallì dopo aver avuto 500 milioni di “stimolo”, a lanciare l’allarme sui disastri che  puniscono lo Stato quando gioca a fare l’imprenditore (al tempo vi dedicai qualche Diario).  Ora è il riesame sistematico dell’andamento dell’intero programma in energia verde sponsorizzato dalle tasse a dimostrare che è bene lasciare al mercato il compito di fare energia e insieme i profitti che consentono di farne ancora di più. di Glauco Maggi  twitter @glaucomaggi