Il fantasma di Paul sui Repubblicani
Non e' un mistero per le speranze del GOP che il fantasma che si aggira sulle primarie e' la possibilita' di una non vittoria di Ron Paul che si possa trasformare, a un certo punto, nel lancio di una campagna autonoma, da terza forza, del deputato texano di 76 anni. Vorrebbe dire il bis di Obama, anche se non tutti i 13 repubblicani su 100 che oggi risultano essere fans di Paul dalla media dei sondaggi nazionali curata da RealClearPolitics lo seguissero nell'avventura. Alla domanda se si stia preparando a questa evenienza, Paul l'ha negata ma non l'ha esclusa anche nella intervista di lunedi' 16 sul New York Times, dopo varie precedenti uscite pubbliche. “Chi sa che cosa succede un domani? Ma io non ho intenzione di fare questo passo, non voglio farlo”, ha detto. Piu' che la smentita sibillina, pero', a far ritenere che alla fine Paul non andra' da solo alle urne e' la tattica molto accorta che sta seguendo durante le primarie. Ha diviso attentamente gli stati a seconda delle votazioni che vi si tengono, perche' il federalismo Usa consente a ogni stato di decidere non solo come tenere le consultazioni, ma anche come assegnare i delegati alla Convention finale del partito in cui si decide la nomination (sara' in Florida in agosto). In alcuni, come lo Iowa, ci sono i caucus, assemblee di voto che richiedono tanto tempo ai votanti e quindi finiscono per attrarre un numero minore di persone, ma piu' militanti e politicizzate.. Negli altri, come e'successo in New Hampshire, ci sono i seggi sparsi nei distretti e la gente deve solo recarsi a votare, come per le elezioni normali. Non solo. Ogni stato ha le sue regole per decidere chi ha diritto di votare, se solo i membri registrati del partito o anche gli indipendenti o addirittura gli iscritti al partito avversario. E ancora, i delegati messi in palio possono essere conquistati con il sistema proporzionale, come in North Dakota, oppure tutti in blocco al solo primo arrivato, come i 50 che andranno a chi vincera' in Florida a fine mese. Paul ha finora fatto capire di puntare, realisticamente, piu' che a ottenere il numero totale di delegati necessari ad essere nominato, a raccogliere una massa critica di suoi rappresentanti che gli daranno voce nell'influenzare sui punti di maggiore interesse la linea del presidente e del GOP. “Piu' delegati avro', piu' forte sara' la mia leva”, ha detto al NY Times, alludendo ai capitoli di piu' acuto interesse per lui, portatore di ideali libertari: una maggiore trasparenza dell'attivita' della Federal Reserve, una revisione del Patriot Act per difendere meglio le liberta' individuali, e un freno ai poteri di guerra del presidente rendendo vincolante l'OK del Congresso piu' di quanto non lo sia ora. Per ottimizzare la sua strategia, Paul e' anche attento a dove investire i soldi della sua campagna. Spendendo 500mila dollari, per esempio, avra' una significativa presenza di spot nelle tv del Nord Dakota, dove i delegati sono assegnati in proporzione ai voti presi e da dove, quindi, uscira' con un certo numero di suoi fedelissimi, a prezzi stracciati, tra i 28 posti in palio. Al contrario, per sperare di essere efficaci in Florida dove chi vince prende tutto ci vogliono almeno una decina di milioni. Paul ha zero chances di portare a casa delegati, anche perche' alle urne non saranno ammessi gli independenti che si sono rivelati determinanti per i suoi relativi successi in Iowa e New Hampshire. Investendo una simile somma, il libertario potra' invece essere un protagonista con alcuni delegati conquistati nei caucus “proporzionali” che ci saranno in ben 4 stati: Maine, Minnesota, Nevada e Colorado. Tanta meticolosa attenzione nel voler pesare in termini di potere politico nel GOP sembra giocare contro l' ipotesi di un addio polemico e traditore. Romney dovra' insomma sedersi al tavolo della trattativa di programma con l'ala libertaria, ma e' una prospettiva che firmerebbe subito per non rischiare di avere Ron Paul come avversario diretto sulla scheda in novembre. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi