Il Watergate di Obama: forniva armi ai narcos

Andrea Tempestini

Il nome con cui è diventato sempre più famoso sui giornali Usa e nelle audizioni congressuali è “Fast and Furious” (In fretta e furia) , ma per il Washington Times, giornale conservatore della capitale, è già il “Watergate di Obama”. Cioè una operazione coperta di cui la Casa Bianca porta la responsabilità, anche se a condurla fisicamente è stata una agenzia alle dipendenze del ministero della Giustizia, l’ATF ( ossia il “Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives”,  l’Ufficio che conduce le inchieste su alcol, tabacco, armi ed esplosivi).  Essendo un disastro obamiano, non ha tutti i giorni la copertina del New York Times, e quindi se ne è saputo poco o niente sulla stampa italiana. Per ora. Ma già una trentina di deputati del partito repubblicano hanno chiesto le dimissioni del ministro della Giustizia Eric Holder, che ha dovuto testimoniare ripetutamente davanti al Congresso, cercando di nascondere il ruolo suo e del governo nella sporca vicenda. Che è la seguente, secondo la ricostruzione di Jeffrey T. Kuhner nel suo articolo sul Washinton Times dal titolo “Watergate di Obama”. Esattamente un anno fa un agente americano di confine, Brian Terry, fu ucciso in uno scontro con una banda di trafficanti messicani, e sul luogo della sua morte furono trovati due AK-47. Si è poi saputo che i due fucili d’assalto erano parte di una operazione illegale dell’amministrazione Obama per far avere armi di contrabbando ai cartelli della droga. Illegale e suicida. L’Operazione Fast and Furious è consistita nell’acquisto di 2000 mitra e affini, presso rivenditori autorizzati dell’Arizona, da parte di agenti dell’ATF, che poi provvedevano a farli avere ai banditi di basso livello delle gang di spacciatori, con l’obiettivo di seguirne le tracce ed arrivare ai vertici delle organizzazioni. Nella realtà, l’ATF ha armato criminali che hanno ammazzato, oltre all’agente Usa Terry, almeno altri 300 cittadini messicani. E a tutt’oggi almeno 1400 mitra AK-47 sono ancora in possesso dei cartelli, sostanzialmente irrecuperabili e pronti per future azioni criminali, possibilmente anche contro gli americani che le hanno generosamente fornite. La linea di difesa di Holder, che ha preso le distanze dalla iniziativa, è che non è mai stato al corrente dell’operazione, gestita dall’ATF, agenzia su cui c’è però la diretta supervisione del suo ministero. La dimensione, i costi e la portata di Fast and Furious escludono realisticamente che l’iniziativa possa essere stata autorizzata, organizzata e condotta senza l’ok diretto delle sfere più alte dell’amministrazione. Holder sostiene di averlo saputo dai giornali, ma è già venuta a galla una menzogna del suo braccio destro, il suo vice ministro Generale Lanny Breuer, che in una risposta ad un parlamentare disse che nessun agente ATF aveva oltrepassato il confine. Falso, eppure Breuer è sempre al suo posto, difeso da Holder. E quanto all’ex direttore di ATF, Kenneth Melson, si sa da documenti ufficiali che aveva direttamente fatto da supervisore all’acquisto degli AK-47. Davanti al Congresso, Melson ha ammesso di aver rimosso dai loro posti gli agenti ATF protagonisti diretti dell’operazione, ma che gli era stato ordinato poi dallo staff di Holder di non dire nulla sui trasferimenti. Che, di fatto, erano “promozioni” in posti al ministero della Giustizia per comprarne il silenzio. Le indagini della Commissione Congressuale che ha il potere di investigare sulle malefatte dei membri dell’amministrazione e del parlamento vanno però avanti, e la posizione di Holder vacilla sempre di più. Di fatto, è ormai un peso per il presidente, che deve decidere se rimuoverlo, sperando di eliminare Fast and Furious dai temi della campagna del 2102. Ma se Holder viene fatto fuori, o se ne va travolto dalle accuse, la curiosità dei membri repubblicani che controllano la Commissione Congressuale d’indagine si trasferirà al gradino più alto del capo del governo. Proprio come fu per Richard Nixon con lo scandalo del Watergate. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi