Sanità e immigrazione: la Casa Bianca passa dalla Corte suprema
La Corte Suprema Usa si appresta a diventare protagonista delle elezioni presidenziali nel 2012, avendo in calendario almeno un paio di sentenze su temi che saranno fondamentali nella prossima campagna. Il primo sarà, prima dell’estate, il verdetto sulla costituzionalità della ObamaCare, la riforma in senso dirigista del sistema sanitario americano che impone l’acquisto di una polizza a tutti i cittadini, o il pagamento di una multa a chi rifiuta. Il secondo è notizia di oggi, perché la Corte ha deciso che discuterà il caso della legge dell’Arizona anti-immigrazione clandestina, votata dal parlamento di quello Stato e portata in tribunale dalla amministrazione Obama. Poiché anche questa decisione si avrà nel corso del 2012, la questione dell’immigrazione diventerà un tema importante della prossima campagna elettorale a livello nazionale, mentre lo sarebbe comunque stato per gli Stati di confine con il Messico, dalla California al New Mexico, dal Texas all’Arizona. In entrambe le vertenze sono stati già archiviati i primi gradini del giudizio, con verdetti misti, ed ora la parola va ai nove del collegio supremo. La legge dell’Arizona, firmata nell’aprile del 2010 dalla governatrice Repubblicana Jan Brewer, richiede alla polizia locale di controllare lo status legale delle persone sospettate di essere nello Stato illegalmente, una procedura delegata di norma ai soli agenti federali della Immigrazione. Vari altri stati, Alabama, South Carolina e Utah, hanno seguito la linea dell’Arizona promuovendo norme più restrittive contro gli illegali, che in America sono ora circa 11 milioni secondo stime ufficiose. Il verdetto della Corte sull’Arizona sarà una indicazione anche per il destino delle altre leggi locali in itinere o già approvate, e per le quali il governo Obama ha seguito la stessa linea della denuncia in tribunale seguita per l’Arizona. Anche se il calo dei posti di lavoro negli Usa ha parzialmente frenato l’afflusso di nuovi lavoratori irregolari negli ultimi tempi, l’associazione nell’opinione pubblica del fenomeno dei clandestini a quello drammatico della delinquenza e delle violenze commesse dai cartelli della droga messicani infiltrati, ha sempre mantenuto elevata la tensione politica sulla questione. Che, infatti, è un argomento centrale dei dibattiti tra i candidati del GOP, dove si sono formati di fatto due campi, i falchi e le colombe. Tra i primi sicuramente s’è schierato Newt Gingrich, che si è detto pronto a trattare con “umanità” una buona fetta di immigrati senza documenti, quelli con almeno 25 anni di permanenza, che lavorano e pagano le tasse ed hanno ormai solidi legami familiari e con la comunità in cui vivono. Anche Jon Huntsman, per quel che conta, è un pragmatico, mentre sull’altro fronte, cioè contro ogni parvenza di sanatoria, ci sono la Bachmann e Santorum, Paul e Romney, il quale ha per la verità indurito la sua posizione solo di recente, nello sforzo di conquistare consensi tra i conservatori più radicali. Quelli che già diffidano di lui per altre ragioni, prima fra tutte la legge sanitaria che firmò da governatore del Massachusetts, e che Barack cita quale modello statale della sua ObamaCare federale per mettere in imbarazzo il possibile avversario. Ma l’immigrazione negli Usa non è solo un problema di formale rispetto della legalità. Il fatto che gli 11 milioni di clandestini siano per la quasi totalità ispanici la rende questione delicata nel rapporto tra i partiti e quella comunità, che è una minoranza in forte crescita numerica e che può essere decisiva in molti Stati, per esempio la Florida oltre a quelli confinanti con il Messico e a quelli dove c’è già una legge tipo Arizona, o è in discussione. E resta anche un tema di “protezionismo” economico, perché negli Stati a più alto tasso di disoccupazione lo straniero che arriva è, anche per i sindacati filo Obama, pur sempre uno che porta via il posto ai residenti e abbassa il costo del lavoro per gli occupati. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi