Il naufragio della politica estera di Barack Obama
Prima la mano tesa di Barack ad Ahmadinejad, poi il “bottone” di Hillary con Mosca, quello da premere (“ reset” , aveva detto) per far ripartire su nuove basi di stima e rispetto le relazioni tra Usa e Russia. Quanti bei propositi aveva la politica estera di Obama e del suo Segretario di Stato all’inizio del mandato. Persino riaprire l’ambasciata in Siria (che Bush aveva chiuso) chiamando Assad “un riformatore”, per ritrovarsi con un regime che ha ammazzato più cittadini suoi di quanti ne abbiano uccisi Mubarak e Gheddafi messi insieme. Dell’Iran abbiamo visto a che punto siamo, dalla repressione nel sangue dopo le elezioni truffa del 2009 alla certezza, ormai, che passando da sanzioni molli a sanzioni dure Teheran è a meno di un anno dall’avere la sua bomba nucleare. Ora c’è la Russia, quella con la quale il governo Usa in mano ai Democratici ha preteso dal Congresso Usa, alla fine del 2010 poche ore prima di perdere il controllo della Camera e la suppermaggioranza in Senato, la ratifica di un nuovo piano di disarmo atomico e di armi convenzionali. Che è sfavorevole agli interessi strategici militari americani, ma in linea con il disimpegno e l’appeasement globale del Nobel della Pace. Vladimir Putin reprime la protesta montante per i brogli elettorali, diffusa e protrattasi per tre giorni da Mosca a Pietroburgo e in altre 70 città, e attacca la Clinton con minacce da Guerra Fredda. Ha accusando l’America di fomentare e finanziare le dimostrazioni contro il suo partito, che è sceso dal 64% al 50% circa dei consensi parlamentari, e quel circa è stato appunto ottenuto con il lavoro “sporco” ai seggi, che ha alimentato le rivolte di strada. “Clinton ha dato il segnale, e questi (i dimostranti NDR) con il sostegno del Dipartimento di Stato hanno cominciato la loro attività”, ha detto Putin in televisione. Il leader russo, che tornerà a fare il presidente di nome e di fatto dopo essere stato comunque iol vero capo di stato negli anni passati da “primo ministro”, l’escamotage per rispettare formalmente la regola dei due mandati presidenziali di fila, ha aggiunto che gli Usa “stanno spendendo centinaia di milioni di dollari” per influenzare la politica russa con l’obiettivo di indebolire un rivale nucleare. La Hillary, ingoiando il “bottone del reset” normalizzatore, si era permessa di recitare l’ovvio dopo che la cronaca delle piazze aveva denunciato i brogli. Aveva detto, cioè, che “i votanti russi meritano una indagine accurata sulle frodi e le manipolazioni elettorali”. "Dobbiamo trovare la strada per proteggere la nostra sovranità dalle ingerenze estere”, aveva insistito Putin in Tv. “E’ inaccettabile l’infusione di soldi esteri nel nostro processo elettorale”, aveva concluso lamentando che gli Usa finanziano con la UE una società di monitoraggio sulla correttezza dello scrutinio. Il website Golos, che ha documentato le violazioni, è stato vittima degli hackers e multato per 1000 dollari dalle autorità moscovite. Parlando a Bruxelles oggi, Hillary ha detto di continuare a considerare di alto valore la relazione con Mosca, ma… forse è tempo di schiacciare il freno dell’apertura a occhi chiusi concessa a un regime in mano a un ex KGB, che elimina i giornalisti critici, assale i vicini (vedi Georgia) , e protegge Iran e Corea del Nord in consiglio di sicurezza all’Onu, e non solo lì. E adesso trucca pure alle elezioni. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi