La rincorsa del repubblicano Gingrich
Newt Gingrich è balzato in testa nel sondaggio nazionale Public Policy (PPP), dopo una rincorsa iniziata l’agosto scorso quando sembrava fuori gioco, senza staff e con un misero 5%. Ora è primo, almeno in questa rilevazione del 14 novembre, con il 28% dei favori, e la seconda sorpresa è che ha portato via meno consensi a Herman Cain, ora al 25%, che non al favorito e (fino ad ora) solido Mitt Romney, calato al 18%. Tutto il resto del gruppo degli sfidanti appare fuori gara, perché non va sopra il 6% di Rick Perry, la maggiore delusione finora essendo il governatore di uno stato dal documentato successo come il Texas. Michele Bachmann e Ron Paul sono al 5%, Jon Huntsman al 3%, Gary Johnson e Rick Santorum all’1%. Sono state le apparizioni dei candidati ai frequenti dibattiti di prima serata sui network televisivi, e le vicissitudini “sessuali” di Cain sia pure ancora non devastanti per lui, a rimodellare la classifica nelle ultime settimane. Gingrich è il “vecchio che avanza”, con i suoi 68 anni, un bagaglio personale di tre mogli che non scandalizza più nessuno ora che è un nonno sereno, e l’esperienza seria di ex Speaker della Camera capace negli Anni Novanta di strappare la maggioranza congressuale ai Democratici mentre Bill Clinton era alla Casa Bianca. E’ sicuramente il più bravo a discutere di politica in tutti i settori, con una dialettica che potrebbe venire buona nei confronti con il super-retorico Obama. Inoltre, in tutte le occasioni, non ha mai attaccato nessun altro concorrente del Gop durante i confronti pubblici, riservando gli strali solo contro il presidente da battere. Ha insomma già in testa l’idea che solo un partito Repubblicano unificato in tutte le sue componenti, dai Tea Party più conservatori ai moderati più aperti sulle questioni sociali e civili, potrà tenere testa nel novembre 2012 al fronte dei liberal e dei Democratici, avvantaggiati dall’avere un presidente al potere. Quella di Newt è una linea che sta facendo presa, come dimostra l’andamento della raccolta di fondi, che dovrebbe passare a 3 milioni di dollari in questo trimestre rispetto agli 800mila del precedente. La campagna del Gop ha dimostrato fino ad oggi d’essere molto volatile, con i fans del partito ancora in affannosa ricerca di un vero leader. I dirigenti sanno di avere, come “ultima scelta di sicurezza”, quel Romney che non riscalda i cuori, e ha un passato politicamente non rigoroso per i palati dei conservatori più radicali, ma che appare pur sempre il più eleggibile del lotto. Il corpo dei militanti e simpatizzanti del GOP, però, è in spasmodica caccia del nome di cui entusiasmarsi. Sperava nella Bachmann, che si affermò nel voto-sondaggio alla Fiera nello Iowa a inizio estate ma non è andata oltre. Anche perché poi è stata la volta di Perry: appena entrato in lizza è schizzato in vetta ma poi si è fatto male da solo con le gaffe e l’insicurezza di eloquio nei dibattiti. A quel punto si è fatto strada Cain, il nero ex re della pizza con il piano fiscale rivoluzionario 9-9-9, ma più ancora con il sorriso e la franchezza della sua parlantina, e con la sua storia umana dalla segregazione al successo economico personale. Ma sono arrivate le accuse di molestie delle sue ex dipendenti, e lui non le ha gestite con seria padronanza limitandosi alla pura negazione e a far intervistare la moglie che ha cieca fiducia in lui. Richiesto ieri di un commento sulla Libia, ha incespicato confermando la sua estraneità dai temi di politica estera. Difficile, insomma, che possa stare a lungo al vertice nei sondaggi. Adesso tocca a Gingrich. I riflettori sono puntati su di lui. Saprà non essere l’ennesima stella cadente? di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi