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Mafia: Borsellino 'quater', il mistero dell'agenda rossa che dura da 27 anni/Adnkronos (3)

AdnKronos

(Adnkronos) - Sono stati i suoi familiari a denunciarne la scomparsa, attraverso il giudice Antonino Caponnetto, fino al 1990 a capo del Pool antimafia. Fu lui a volere accanto a sé Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il primo verbale di apertura della borsa fu redatto dalla Procura di Caltanissetta il 5 novembre 1992, cioè tre mesi e mezzo dopo la strage. Un altro protagonista della vicenda così ingarbugliata è il colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli, che era stato accusato di avere preso con se l'agenda rosso sul luogo della strage. Ma nel 2008 venne prosciolto dal gup per non aver commesso il fatto. Il gup nisseno Paolo Scotto Di Luzio aveva chiuso così uno dei filoni d'indagine legati alla strage di via D'Amelio aperto grazie ad un'immagine televisiva: quella in cui si vedeva Arcangioli, allora comandante della sezione omicidi dei carabinieri di Palermo, allontanarsi da via D'Amelio con in mano la borsa del magistrato. La stessa borsa che pochi minuti dopo verrà ritrovata nell'auto blindata di Borsellino, e consegnata in Questura senza l'agenda che il magistrato portava sempre con sé e di cui hanno parlato i familiari e i principali collaboratori. Altre polemiche si sono registrate negli anni anche attorno a un altro protagonista: Giuseppe Ayala, ex giudice del pool antimafia e amico di Paolo Borsellino. Come scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado del processo Borsellino quater, "il teste, non senza alcune difficoltà mnemoniche, spiegava che non sapeva nemmeno che Paolo Borsellino teneva un’agenda nella quale annotava le proprie riflessioni più delicate". "Comunque, Ayala escludeva decisamente d’aver guardato dentro alla borsa di Paolo Borsellino, che pure passava fugacemente fra le sue mani, così come escludeva d’averla portarla via sulla autovettura blindata della propria scorta”. Sono sempre i giudici di primo grado a spiegare che "Già nell’immediatezza della strage, attorno all’automobile blindata del Magistrato ucciso, vi erano una pluralità di persone in cerca della sua borsa e di quello che la stessa conteneva, ivi compresi alcuni appartenenti ai Servizi Segreti”. Ma proprio chi notava la presenza “oggettivamente anomala, se non altro per i tempi” di quegli esponenti dei Servizi “non riteneva di riferire alcunché ai propri superiori gerarchici od ai Pubblici Ministeri ". Insomma, ai familiari di Paolo Borsellino “non veniva mai notificato alcun verbale di sequestro della borsa del loro congiunto ed alla vedova veniva mentito, considerato che il dottor Arnaldo La Barbera le diceva che detta borsa era andata distrutta nella deflagrazione, sebbene risulti (come detto) che il reperto giungeva nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo già nel pomeriggio del 19 luglio 1992”. E soprattutto, chi portava la valigetta di Borsellino nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo “non riteneva di dover fare alcuna relazione di servizio (almeno fino a cinque mesi dopo), né di dover far rilevare che vi erano degli appartenenti ai Servizi Segreti sullo scenario della strage”?. Alcuni mesi dopo la strage Arnaldo La Barbera si recò personalmente a casa della signora Agnese Piraino, per la restituzione della borsa del marito. Una restituzione che “avveniva in maniera irrituale e frettolosa (ancora una volta, non veniva redatto alcun verbale, né consta alcuna relazione di servizio)”, dicono i giudici. In quella occasione, di fronte alle richieste della figlia, Lucia Borsellino, di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre (che non risultava presente dentro la borsa fra gli altri suoi effetti personali), il Dirigente della Squadra Mobile di Palermo “con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica (ed apodittica), che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire".