cronaca

Bologna, il ricordo di un sopravvissuto

AdnKronos

Bologna, 2 ago, - (AdnKronos) - di Paola Benedetta Manca"Avevo 13 anni e dovevo partire per una bella vacanza con la mia nonna paterna, dovevamo andare nelle Marche, vicino a Senigallia. Mia nonna era di quella zona e andavamo a trovare dei parenti. I miei genitori ci hanno portato alla stazione. Mio padre è rimasto fuori, in auto, ad aspettare mia madre che ci ha accompagnato dentro per fare i biglietti. Siamo andati lungo il primo binario per prendere il treno. Poi, all'improvviso, il buio. Non ricordo l'esplosione, mi sono risvegliato direttamente intrappolato sotto le macerie della pensilina del binario, riuscivo a muovere solo le mani, sulla mia faccia, e in bocca, polvere e sangue. Urlavo ma nessuno mi sentiva. Mi hanno estratto dalle macerie dopo due ore. Mia nonna e mia mamma, invece, sono morte subito". E' la drammatica testimonianza, affidata all'AdnKronos, di Paolo Sacrati, sopravvissuto il 2 agosto del 1980 all'attentato alla stazione di Bologna. L'esplosione ha spazzato via, invece, la mamma, Loredana Molina, di 43 anni e la nonna, Angelica Tarsi, di 72 anni. "Mi sono risvegliato lì sotto al buio, come in un incubo - racconta - ero semicoscente e non ricordavo neanche di essere in stazione. Cercavo di uscire, di sollevare i detriti che avevo sopra, non sentivo nulla. Ho iniziato a urlare, sperando che qualcuno mi svegliasse dall'incubo e poi, dopo quasi due ore, ho sentito la voce di uno dei soccorritori che finalmente aveva sentito le mia grida. Ricordo quando mi hanno caricato in ambulanza per portarmi via d'urgenza e la voce del medico che diceva: 'Correte fate in fretta'". "Mi hanno portato all'ospedale Bellaria - racconta Sacrati - e poi, a metà agosto, mi hanno trasferito all'ospedale ortopedico Rizzoli. Avevo un trauma cranico più varie contusioni. Mi hanno applicato 130 punti di sutura su tutto il corpo: schiena, mani, braccia. All'inizio ero grave ed ero ricoverato in prognosi riservato. Avevo problemi agli arti inferiori, un ginocchio e un'anca, i più bloccati dalla pensilina che mi è caduta addosso. In tutto sono stato in ospedale per un mese e mezzo, un paio di settimane anche al Malpighi". "Chiedevo continuamente di mia madre e mia nonna - ricorda Sacrati - ma mi dicevano che erano ricoverate in un altro ospedale. Poi, dopo circa due settimane, mi hanno detto che era morta mia nonna e, quando mi hanno trasferito al Rizzoli, ho saputo di mia madre da una zia. Mio padre stava con me tutti i giorni, come mia sorella e mio fratello, lui era rimasto fuori dalla stazione, per fortuna, ma l'ha vista venire giù, sapendo che noi tre eravamo dentro". Sacrati, quei momenti, lì sotto, al buio, se li ricorda ancora, dopo 39 anni: "Avevo paura che non mi tirassero fuori, ero così terrorizzato che non sentivo neanche dolore. Appena mi hanno portato all'aria aperta ho chiesto subito dell'acqua. Ero cosciente ma riuscivo a percepire solo delle forme, sentivo la confusione e la voce allarmata del medico". "Dopo 39 anni vogliamo giustizia piena - conclude - Sappiamo chi è stato l'esecutore materiale e i depistatori. Ci manca di sapere chi sono stati i mandanti. Vorremo sapere anche il perché di questa strage, anche se comunque è incomprensibile. Per noi ora la cosa fondamentale, visto che c'è anche un'indagine in corso sui mandanti, è arrivare a questo traguardo". "Noi dell'Associazione fra i familiari delle vittime della strage del 2 Agosto 1980 - sottolinea - lavoriamo tanto per la memoria, perché la gente ricordi cosa è successo, soprattutto le giovani generazioni, per questo facciamo molti incontri nelle scuole, solo in quest'ultimo anno abbiamo incontrato 3.700 studenti".