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Stupro Factory, la titolare: "Noi rovinati per qualche stupidaggine"

AdnKronos

Roma, 19 lug. (AdnKronos) - di Silvia Mancinelli "Abbiamo avuto una revoca di una autorizzazione che avevamo qui dal 1968, presa da mio padre con il chioschetto, trasformato in anni di sacrifici, con investimenti continui. Una attività famigliare costruita con i 'buffi' e che per questa e altre stupidaggini che possono succedere in una discoteca, è distrutta". Così, all'Adnkronos, Elisabetta, titolare del Factory Club in piazzale dello Stadio Olimpico, commenta il fermo di uno dei ragazzi ritenuti responsabili dello stupro della 21enne etiope avvenuto in un magazzino di pertinenza del locale nella notte tra il 18 e il 19 maggio scorsi. "Stupidaggini", dice Elisabetta. E cita una serie di episodi: "Tipo due che si danno un cazzotto e per i quali noi abbiamo chiamato le forze dell'ordine... O uno che abbiamo portato fuori e come un pazzo si è messo a rompere i finestrini delle auto parcheggiate fuori", o ancora "una ragazza colpita al volto con un tappo schizzato da una bottiglia e ferita leggermente senza nemmeno bisogno di mettere i punti. E poi hanno messo insieme a queste altre cose lo stupro avvenuto nell'area attinente alla discoteca e siamo arrivati, quindi, alla revoca della licenza". "Noi siamo stati un mese e mezzo completamente chiusi, praticamente falliti - continua la titolare, al computer accanto all'anziana madre, sempre presente - perché io qui pago un bel po' di affitto, parte dei dipendenti sono dovuti andar via, parte ho dovuto mantenerli con contratti, eccetera. A noi questa situazione ci ha distrutto dal punto di vista economico, ma anche dell'immagine perché hanno pensato bene di chiudere la discoteca dei ragazzi di Roma Nord, che magari hanno violentato la ragazza di colore. Quindi hanno preso e mi hanno revocato - parlo di revoca non di una sospensiva di un mese - la licenza". "Io adesso per lavorare nell'area esterna ho dovuto prendere nuove licenze - spiega - quando quelle erano licenze storiche che erano mie da mio padre nel 1968, in Italia penso sia l'unico locale ad avere licenze tanto vecchie". "Noi ci mettiamo sempre la faccia, in prima persona - aggiunge Elisabetta - siamo stati noi che abbiamo chiamato le forze dell'ordine, ho assistito personalmente la ragazza. E' stato scritto che non abbiamo dato l'allarme, che non abbiamo collaborato: tutto questo ha portato a questa situazione. Sono contenta per la ragazza e per gli inquirenti che hanno portato avanti le indagini, ma se devo vedere la cosa dalla mia ottica mi hanno distrutto". "Ho fatto ricorso al Tar, voglio la tranquillità di portare avanti un'azienda seria che sta qui dal '68, a gestione familiare, creata da mio padre e da mia madre e portata avanti da noi tre figli. E' una situazione che ho vissuto in maniera drammatica. Noi non dormiamo più, non viviamo più, io sto andando dallo psichiatra - dice piangendo - come posso stare? Ho una famiglia con quattro figli, cosa gli racconto? Nel contesto generale chi ha avuto la colpa di tutto e chi ha pagato dall'inizio?". "Non ho mai visto un locale in Italia che ha la proprietà che sta sulla porta e controlla personalmente tutti i documenti, tutte le sere sto sempre con qualcuna che si sente male, gli tengo la testa, la faccio vomitare, la riaccompagno a casa - conclude Elisabetta - So l'amore e l'affetto che abbiamo per questo locale. E' stato distrutto con niente. Sono contentissima per le indagini e per la ragazza, ma il mio dramma è un altro".