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Contrada: "Poche ore dopo strage Borsellino mi fu chiesto aiuto da Tinebra"

AdnKronos

Caltanissetta, 5 apr. (AdnKronos) - (dall'inviata Elvira Terranova) - Non erano trascorse neppure 24 ore dalla strage di Via d'Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, quando l'allora Procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra, appena insediato, incontrò nei suoi uffici l'allora numero due del Sisde, Bruno Contrada. Un incontro irrituale, tra un uomo dei Servizi segreti e un magistrato, fortemente voluto dal Procuratore. A fare da tramite, per quell'incontro, era stato l'allora capo della Polizia Vincenzo Parisi. Quel lunedì pomeriggio Tinebra guardò negli occhi Contrada e gli chiese aiuto. "Mi deve dare una mano nelle indagini", gli disse. Perché non sapeva da dove iniziare. Ma Contrada nicchiò. "Nei Servizi segreti non facciamo indagini, ma posso darle un aiuto", gli rispose. A raccontare quanto accadde quel pomeriggio è uno dei due protagonisti, Bruno Contrasda, sentito oggi, come testimone assistito, al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage Borsellino. Alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, che facevano parte del gruppo investigativo 'Falcone e Borsellino'. Sono tutti imputati per calunnia aggravata in concorso. Rispondendo alle domande del pm Stefano Luciani, Bruno Contrada, che oggi ha 88 anni e cammina appoggiato su un bastone, Contrada ricorda quei momenti con grande lucidità: "Era il 20 luglio 1992 - dice Contrada - e Tinebra mi chiese di contribuire alle indagini, io feci delle obiezioni. Avevo anche spiegato che non avrei intrapreso nessuna attività sul piano informativo, perché quello era il mio compito, se non d'intesa con gli organi di polizia giudiziaria interessati, sia della Polizia che dei Carabinieri". E pochi giorni dopo ci fu l'incontro, come risulta anche dall'agenda che - seppure in fotocopia - Contrada ha portato in aula, con i vertici di Polizia e Carabinieri a Palermo. "Infatti ci fu l'incontro, per la Polizia, con l'allora dirigente della Squadra La Barbera e successivamente l'incontro con il maggiore Obinu dei Carabinieri", racconta ancora Contrada. "A farmi il nome di Obinu fa il generale Antonio Subranni che conoscevo benissimo". "A La Barbera dissi che non avrei fatto nulla per accavallare le indagini - spiega Contrada al pm Stefano Luciani - dissi che avrei svolto un'attività che non potesse disturbare le loro indagini, gli spiegai quello che noi come Servizi segreti potevamo fare per contribuire, nei limiti del possibile, alle indagini sulla strage". "Ero l'unico in quell'ambiente che avesse conoscenza di cose e uomini di mafia, per la mia lunga permanenza di servizio a Palermo - dice ancora - ho trascorso 23 anni a Palermo nella lotta contro la mafia. Gli altri erano 'digiuni' di lotta alla mafia, compreso il capocentro del Sisde di Palermo". (segue)