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L'ex questore Germanà al processo depistaggio Borsellino: "Io un miracolato"
Caltanissetta, 17 gen. (di Elvira Terranova)(AdnKronos) - "Io sono un miracolato, e lo ripeto. Sono un vero miracolato e non capisco perché gli altri colleghi siano morti e io no. Io quel 14 settembre del 1992 mi salvai solo per la mia prontezza di riflessi. Ma Messina Denaro, Bagarella e Graviano non riuscirono a uccidermi". Sono trascorsi quasi 27 anni da quel giorno, ma per il Questore Rino Germanà è come se fosse stato ieri. L'ex poliziotto, oggi in pensione, rivive ogni attimo di quell'attentato nel corso della sua deposizione al processo sul depistaggio delle indagini per la strage di via D'Amelio, che vede alla sbarra tre poliziotti accusato di calunnia aggravata: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, dove è stato chiamato dall'accusa. Germanà, rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto Gabriele Paci, ricorda anche quello 'strano' trasferimento dalla Criminalpol di Palermo al commissariato di Mazara del Vallo, una sorta di retrocessione della sua carriera. Siamo nell'estate del 1992, e da poco meno di due mesi era stato ucciso il giudice Giovanni Falcone insieme con tre agenti della scorta. Paolo Borsellino, che era stato trasferito a Palermo, dove ricopriva l'incarico di Procuratore aggiunto, e che per anni aveva lavorato a Marsala al fianco di Rino Germanà, aveva cercato di richiamare Germanà al suo fianco, poco prima di essere ucciso in via D'Amelio. Germanà aveva condotto una inchiesta su un tentativo di condizionare i componenti del collegio giudicante di un processo per mafia e che, secondo la tesi dell'accusa, potrebbe aver provocato il suo 'strano' trasferimento. Nel giugno del '92 Germanà venne incaricato di indagare su pressioni denunciate da due alti magistrati di Palermo per pilotare il verdetto del processo per l'omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Un tentativo che sarebbe stato condotto dal notaio Pietro Ferraro. Rino Germanà, senza nascondere la sua emozione, racconta al Tribunale, presieduto da Francesco D'Arrigo, le fasi dell'attentato di cui è stato vittima. "Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro erano su una Fiat Tipo e poi c'era un'altra macchina - racconta - C'erano già andati la settimana prima, ma siccome non dormivo sempre nello stesso posto, erano tornati. Quel 14 settembre, verso le 14, tornando a casa, avevo un motorino, e stavo per andare via. Ma, per fortuna, mi chiamò il mio autista e mi ricordò che nel pomeriggio dovevamo andare a parlare con il Questore di Trapani. Così decidemmo di portarci due macchine da lasciare poi dal meccanico. Io ero solo e l'autista era sull'altra auto. Lasciai il mio motorino a un agente che doveva fare un servizio di osservazione e presi una Panda con le pastiglie del freno difettose. Quando ero sul lungomare fui avvicinato dalla macchina, sentii il rombo del motore ma ero sovrappensiero. Guardo indietro e mi vedo puntare addosso un fucile che spara. Io scappo sulla spiaggia, ma loro fanno inversione di marcia, e tornano, sparando un colpo di kalashnikov. Sono stato un miracolato".