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Mafia: ex giudice pool antimafia, indebolita ma non vinta, strategia Riina fallimentare
Palermo, 17 nov. (AdnKronos) - "La verità si allontana? E perché mai? Riina come Provenzano non ha mai parlato e d'altra parte perché avrebbe dovuto farlo? Con 26 ergastoli sulle spalle sapeva di non poter sperare in nessun beneficio? La storia ci insegna che a pentirsi sono i giovani, i rampolli di Cosa nostra che tra la morte in carcere e la vita scelgono quest'ultima". Così Giuseppe Di Lello, uno dei quattro componenti dell'originario pool antimafia voluto dal giudice Giovanni Falcone e che rivoluzionò i metodi di contrasto alla mafia, commenta la morte del padrino corleonese, Totò Riina, e le parole di chi pensa che con la fine del capo dei capi si allontani anche la possibilità di arrivare alla verità sulle stragi. "Con la morte di Riina non comincia qualcosa di sconosciuto - aggiunge -. E' già tutto scritto. La mafia militare ha avuto un forte arretramento, è priva di forti figure di riferimento e gli ultimi tentativi di ricomporre la Cupola a Palermo sono falliti. Le confische ingenti, i continui arresti con i pochi boss che una volta in libertà vengono nuovamente arrestati hanno dimostrato il fallimento della strategia stragista di Riina che ha insanguinato la Sicilia e l'Italia, ma che sul piano repressivo ha prodotto grandi risultati, numerosi processi e una legislazione antimafia ampliata e più efficace". Ma nonostante abbia subito in Sicilia "colpi forti" per Di Lello "la mafia non è sconfitta" e sarebbe "un errore pensare che la morte di Riina segni la fine di Cosa Nostra". "In Sicilia non ci sono più le centinaia di morti degli anni Settanta e Ottanta - prosegue -, la mafia è indebolita, ma non vinta". Bisogna allora "riattrezzarsi" per la lotta, ma non dal punto di vista delle norme perché "c'è tutto dal punto di vista legislativo". Serve cambiare l'analisi. "Oggi nell'intreccio politico-affaristico la componente mafiosa non è più essenziale - conclude l'ex giudice istruttorio del pool antimafia -. Questo blocco di potere si fonda sulla corruzione e non più sulla protezione delle armi mafiose".