contraddizioni esplose
25 aprile, insulti a ebrei e donne ucraine: così ha ucciso ciò che resta della sinistra
Non è vero che ogni 25 aprile è uguale all'altro. La festa della Liberazione di ieri è stata diversa da tutte le precedenti. Quelle rappresentavano per la sinistra un momento d'unione, di ricompattamento attorno al rito tribale e auto-esaltatorio della piazza: noi siamo la parte giusta della Storia, gli altri sono i fascisti. "Bella ciao", le bandiere rosse, l'orgoglio superficiale di chi proclama di essere per la pace e con i democratici americani, come se fossero la stessa cosa. Potevano permetterselo, perché le alleanze internazionali e il diritto dei popoli di difendersi con le armi erano roba da accademia, distante dalla politica quotidiana e dalle viscere degli elettori. Le spaccature su questi argomenti c'erano, poiché è dai tempi del Comitato di liberazione nazionale che la sinistra antiamericana innamorata dei dittatori di Mosca convive con quella atlantica del Partito d'azione, laica e repubblicana. E queste idee e queste storie sono state poi buttate alla rinfusa nello stesso contenitore, il Partito democratico. Però erano spaccature su temi che contavano poco, e dunque non potevano far male. Ieri, tutt' altra cosa. Il 24 febbraio il rasoio di Vladimir Putin non ha solo separato il passato dal futuro dell'Europa, ma ha tagliato in due il Pd e la sinistra italiana. Le contraddizioni sono scoppiate.
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Non si può stare con Joe Biden, erede di Barack Obama, surreale premio Nobel per la Pace, e allo stesso tempo dirsi pacifista e sventolare la bandiera arcobaleno. Sostenere che si è con i partigiani e quindi contro la guerra non è più possibile, perché oggi i partigiani che combattono contro l'invasore sono i patrioti ucraini, e per resistere hanno bisogno dei nostri fucili e dei nostri blindati. Scelte semplici, nella loro drammaticità: glieli diamo, accettando di prolungare la guerra? Se sì, perché parliamo di pace? Se no, con quale faccia andiamo in piazza a cantare «Bella ciao»? Tutto questo è diventato evidente ieri, quando si sono viste scene inimmaginabili sino a due mesi fa. Non le aggressioni in piazza alla Brigata ebraica e le manifestazioni d'odio per Israele, che ormai fanno parte della liturgia infame del 25 aprile, ma il resto. Gli insulti a Enrico Letta «servo della Nato» e capo del «Pd guerrafondaio», le bandiere del Pd bruciate in piazza assieme a quelle dell'Alleanza Atlantica, la sede dei democratici di Torino vandalizzata con la vernice rossa, le contestazioni alle delegazioni di Italia Viva e +Europa, che sino a prova contraria sono parte del "campo largo" di Letta, nella partigiana Reggio Emilia.
E ancora i manifestanti che marciano col pugno chiuso e gli striscioni «contro Putin e contro la Nato», riecheggiando gli anni formidabili in cui lo slogan era «né con lo Stato né con le Br», mentre gli ucraini che si difendono vengono bollati come «nazisti». È dovuto intervenire Sergio Mattarella per spiegare al presidente dell'Anpi e ai compagni equidistanti che le parole di "Bella ciao", «Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l'invasor», oggi raccontano la storia degli ucraini, e per ricordare il «ruolo decisivo dei soldati alleati» nella liberazione d'Italia. Ma nemmeno questo funziona più, perché al capo dello Stato che prova a mettere ordine nel grande caos della sinistra risponde dalla piazza il vignettista-ideologo Vauro Senesi, per il quale «Mattarella non è più il garante della Costituzione», e sarebbe interessante sapere quanti stanno con l'uno e quanti con l'altro. Faceva tenerezza vedere Letta, nel corteo di Milano, difendere il proprio metro quadro di selciato sostenendo che «questa è casa nostra. La Costituzione, l'antifascismo sono casa nostra». Parole vecchie, figlie dell'epoca precedente l'invasione dell'Ucraina. La domanda, oggi, è se la Costituzione e il loro antifascismo dicono che bisogna stare con la Nato e armare gli ucraini oppure no, ma né Letta né gli altri leader progressisti hanno una risposta condivisa dal loro popolo. E fingere che non sia così non risolverà il problema.