Strade sbagliate
Russia, le sanzioni non funzionano: i precedenti di Iran, Cuba e Corea del Nord
Biden: «Putin è un assassino» o «criminale di guerra» è stata fino a ora una delle portanti della politica atlantica cui l'Ue si è riallineata dall'inizio della crisi ucraina. Tuttavia, mantenedosi distante dal giustificare l'operato dello stesso Putin, occorre cosiderare, nell'ottica del perseguimento della soluzione della crisi e della pace, che Putin è un capo di Stato che detiene un largo consenso nel proprio Paese. Sperare nella soluzione della crisi attraverso il discredito dello stesso leader russo è al momento e secondo gli indicatori che arrivano dalle piazze, piuttosto inverosimile e poco funzionale a qualsiasi eventuale soluzione o accordo. In sostanza è il momento, se l'obiettivo urgente è preservare vite umane, di approcci ragionati, che sicuramente non possono comprendere offese incrociate, quantomeno da parte di capi di stato ed esponenti politici e dei governi dei Paesi interessati e toccati dalla crisi ucraina.
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La politica della sanzioni è una componente di pressione da dosare con attenzione e ponderatezza e se si vuole giungere a un soluzione della crisi in tempi rapidi, devono essere accompagnate da una azione diplomatica non sostituirla, altrimenti si rischia di ottenere effetti indesiderati, quali l'inasprimento della stessa crisi e l'irrigidimento della coesione interna alla Russia. Inoltre si osserva che le sanzioni economiche ai russi in parte ricadono anche su chi le infligge, semplicemente perché il mondo economico e finanziario è interconnesso e globalizzato. In questo caso la storia ci porta degli esempi di Paesi con molto meno peso economico della Russia in cui anni di sanzioni non hanno destabilizzato il potere politico e non hanno impedito agli stessi di sussistere anche sotto il profilo economico, basti pensare a Venezuela, Iran, Sudan, Cuba e quale caso limite ,la Corea del Nord.
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Le sanzioni economiche, perseguite direttamente dall’azione diplomatica dell’Unione Europea,in allineamento con la politica degli Stati Uniti, costituiscono una portante solidale ed effettiva, tuttavia la diplomazia dell’Ue continua ad essere praticamente assente, quantomeno nell’ottica di soluzione della crisi Ucraina sul breve termine. Sostanzialmente la sola voce di inasprimento delle sanzioni alla Russia scoordinata o nel caso europeo non accompagnata da un’azione diplomatica, compone un quadro di irrilevanza e ininfluenza della stessa Ue che al momento è assente dai tavoli della trattativa che nel frattempo sono sperimentati, con poco successo, da singoli Paesi dell’Ue o da paesi esterni alla stessa Unione, nonostante i reali e consistenti rischi di sicurezza diretti per l’Ue. Al contrario l’Ue dovrebbe essere protagonista e avere voce propria mediando con tutta la sua forza e il suo peso già da prima dell’invasione russa dell’Ucraina e soprattutto adesso nell’ottica di raggiungere in tempi rapidi a una soluzione anche di compromesso della crisi, cui lo scopo principale dovrebbe essere quello di fermare la guerra e la perdita di vite umane e preservare la sicurezza della stessa Ue.
La Nato sta svolgendo giustamente il suo ruolo principale di prevenzione di allargamento del conflitto attraverso l’adattamento dei propri assetti militari, una visione imprescindibile da parte dei Paesi dell’alleanza. Si registra invece l’assenza della diplomazia dell’Ue che dall’inizio del conflitto non ha praticamente dato segni che vadano oltre l’allineamento alle richieste di sanzioni economiche. Occorre invece che l’Ue sia influente e cerchi di essere efficace nella gestione di una crisi che la vede direttamente interessata. Oggi l’Ue non può esimersi dal dare prova di concretezza o ininfluenza, le soluzioni al conflitto passano dalla capacità dell’Ue di mediare fra grandi potenze che sembrano avere interessi che non tengono in considerazione la sicurezza della stessa Ue. L’Ucraina potrebbe diventare un Paese neutrale di cui l’Ue può individuare e proporre i lineamenti da discutere, un modello di neutralità specifico e adatto al caso, condivisibile dalle parte nell’interesse primario di fermare la guerra e preservare vite umane.