Parola al direttore
Sergio Mattarella, Alessandro Sallusti contro i parlamentari: "Più servili di Fantozzi col Duca Conte Balabam"
«Buongiorno (applausi) mi chiamo (applausi) Sergio (applausi) Mattarella (applausi) e oggi, giovedì (applausi) 3 febbraio (applausi)…». Questa è la cronaca, neppure troppo romanzata, del discorso al Parlamento con cui Sergio Mattarella ha inaugurato il suo secondo mandato di Presidente della Repubblica. Trentasette minuti e 53 applausi, uno ogni 42 secondi, roba da battere il record di servilismo di Fantozzi e colleghi nei confronti del loro super direttore generale mega galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam. E questo la dice lunga sulla coda di paglia della politica nei confronti del presidente uscente-entrante che non è mai stato la sua prima scelta bensì il jolly ripescato per salvare in extremis capra e cavolo, dove la capra era il governo e il cavolo il posto e lo stipendio fino a fine legislatura di deputati e senatori.
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Duca Conte Mattarella, da signore quale è, non ha infierito se non ripetendo più e più volte la parola “dignità”, mai riferita direttamente agli astanti ma ascrivibile alla categoria “parlo alla nuora perché suocera intenda”.
In effetti ci sarebbe piaciuto un parlamento che avesse ascoltato le parole del presidente composto e contrito, conscio della propria debolezza e a tratti inutilità, piuttosto che queste scene da ipocriti ultrà mattarelliani del giorno dopo. E non mi illudo che da oggi senatori e deputati seguiranno da bravi scolaretti i saggi consigli del Presidente a mettere da parte le divisioni e rimboccarsi le maniche per riformare davvero questo Paese. Scampato il pericolo, scommetto, tutto tornerà come prima se non peggio di prima considerato che oggi si apre di fatto la campagna elettorale per le elezioni del marzo 2022.
Ancora due cose. La prima è che non ci uniamo al coro di chi considera vecchia e ipocrita la cerimonia di insediamento: il giuramento, le bandiere, gli inni, le frecce tricolori e il corteo con la vecchia Lancia cabriolet anni Sessanta, a prescindere da chi onorano, fanno parte della nostra storia della quale non sono forma ma sostanza. La seconda è che devo le scuse al Presidente per aver ieri dubitato che avrebbe messo al centro del suo nuovo mandato la riforma della giustizia. Lo ha fatto con forza e lo ringraziamo. Il punto è se i nostri cari Fantozzi, oltre ad applaudirlo, lo hanno pure capito.
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