Fuori e dentro le mura
Vaticano, Renato Farina e il fango gettato su Ratzinger per lo scandalo pedofilia e quel silenzio di Papa Francesco
La lapidazione prevista dalla sharia è malvagia, sassi aguzzi spaccano la testa, sfondano il petto. Eppure è più onesta di quella praticata in queste ore contro un Papa di 95 anni, colpevole di essere ormai senza potere, salvo quello inestimabile tipico dei senza potere: l'inermità, la buona fede, in fin dei conti la verità. La sua lapidazione è stata praticata tirandogli contro un malloppo di carte elaborate da uno studio legale di Monaco di Baviera che improvvisamente è emerso dal nulla come uno Zeus tonitruante: secondo questi avvocati auto certificatisi come "Commissione indipendente" Joseph Ratzinger quattro volte, da arcivescovo metropolita della capitale della Baviera, ha saputo e tollerato la presenza di preti pedofili, straziatori di bambini. Li conosceva, e ne ha lasciato sfregiare l'innocenza. Le prove? Zero. Non una. È solo il confronto serrato - secondo qualunque manuale dei diritti umani e della deontologia giornalistica che trasforma le dicerie in prove, a sua volta da vagliare. Niente di tutto questo.
Dichiarazioni raccolte, deduzioni. Inutilmente da anni Ratzinger con un poderoso dossier di 84 pagine ha fornito le prove, esse sì rigorose, della menzogna pesante come un macigno che gli è stata tirata contro. Nessun dubbio. È uno dei piaceri dell'umanità quella di poter mostrare l'anima nera di un angelo finalmente spogliato delle sue candide veste. Ah, tagliargli le alucce, arrostirlo allo spiedo. Potersi sentire persino migliori di un santo venerato da tutti e sbugiardarlo gettando nel panico i suoi fedeli e nella pattumiera i suoi insegnamenti. E così alla massa di carte fornita dai legulei tedeschi i giornalisti di tutto il mondo hanno aggiunto carta a carta, inchiostro a inchiostro. La vera notizia di ieri non è lo scandalo della presunta pedofilia di un Papa, ma il rito tribale del linciaggio contro un uomo buono e mite. Questo è il vero documento che dice la verità sui tempi che viviamo.
Non ci credete? I titoli di prima pagina dedicati ieri dai più diffusi quotidiani italiani a Joseph Ratzinger propinano le certezze dei quotidiani afghani al popolo con il sasso in mano per tirarlo contro il reo. Com' era il titolo di quel vecchio film? Ah sì: "Sbatti il mostro in prima pagina". I giornaloni e i giornaletti italiani, ma non solo, hanno sposato con trasporto le accuse infamanti contro il Papa emerito, pedofilo nell'oscurità delle navate barocche. Ci aspettiamo nei prossimi giorni una bella lettera di 700 intellettuali all'Espresso, sul modello di quella che inchiodò 50 anni fa il Commissario Luigi Calabresi al palo della fucilazione. Potrebbe funzionare come titolo: "Il pedofilo emerito". Esageriamo? Mano, è il sarcasmo che alza le mani e si arrende all'evidenza: le affermazioni colpevoliste, pronunciate in assenza di controparte, sono state bevute come vin santo dai giornalisti, i quali a sua volta l'hanno versato come nettare ai lettori. Ed ecco allora questi titoli. Hanno infatti la perentorietà alata dei versetti del Vangelo, anzi più che altro delle sure del Corano, e potrebbero candidarsi per un premio di giornalismo a Kabul intitolato al Mullah Omar. In pole position è La Stampa, il cui titolista crede di essere Padre Pio e legge la coscienza di Ratzinger come un libro stampato, scoprendola putrida: "Il peccato di Benedetto" (Domenico Agasso). La Repubblica è più oggettiva,: "Preti pedofili a Monaco. Ratzinger coprì 4 casi" (Paolo Rodari). Questo è il famoso garantismo progressista. E così non si accenna alla «rigorosa smentita» di Benedetto XVI, il quale mette in gioco la sua parola contro quella di sconosciuti avvocati bavaresi.
Il Corriere della Sera elude anch' esso la difesa di Ratzinger, che pure perla prima volta in vita sua ha impugnato la spada per difendersi dall'ignominia: "Abusi, Ratzinger non agì su 4 casi. Choc in Vaticano" (Gian Guido Vecchi). Lo choc, sia chiaro, non è provocato dall'indignazione per la temerarietà di un'accusa contro chi conserva il nome di Papa sia pure emerito, e dovrebbe essere difeso con l'alabarda delle parole e il tuono dell'anatema da chi ne ha l'autorità, ma lo choc è perché in fondo in fondo piace credere che davvero Ratzinger sapesse e abbia lasciato fare. Ci risulta che nessuno, da dentro le mura vaticane, abbia osato mostrare la faccia e levarsi lo zucchetto per lanciarlo a mo' di sfida per duellare contro chi offende il Vicario di Cristo in terra, che è tale anche se emerito, silenzioso, e vicino alla morte, povero agnello candido che rischia di bagnarsi del sangue dello sgozzamento rituale della calunnia. Abbastanza solitario è intervenuto il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione scrivendo: «La personalità e l'opera di Benedetto XVI smentiscono le accuse infamanti alla sua persona. Siamo vicini al Papa emerito e preghiamo insieme con lui per una Chiesa più vera, più unita e più libera».
L'unanimità, o quasi, dei vaticanisti, nel dare credito a pugnalate a tradimento, dice molto di più dell'opinione dei singoli giornalisti. Essi infatti esprimono il pensiero dominante del circolo stretto di consiglieri del Papa. Il quale di sicuro non crede alle accuse contro il predecessore. Ma per difendere la Chiesa dall'attacco generalizzato per lo scandalo degli abusi sui minori da parte di preti e vescovi, forse persino d'accordo con Benedetto, preferisce sottolineare la volontà purificatrice della Chiesa. Ieri ha trattato in pubblico la questione davanti alla plenaria dell'ex Sant' Uffizio. Ha detto: «La Chiesa, con l'aiuto di Dio, sta portando avanti con ferma decisione l'impegno di rendere giustizia alle vittime degli abusi operati dai suoi membri». Nessun cenno a Benedetto. Dura la vita dei Papi. Quelli emeriti di più.