Antonio Socci, "i compagni si rassegnino". Quirinale, perché Draghi sconvolgerà i loro piani
L'elezione del nuovo presidente della Repubblica è un appuntamento che - nelle cronache dei giornali - sembra un gioco a nascondino o un banale Risiko (per qualcuno un "rosico"). I partiti non sanno dove sbattere la testa. In questa nebbia fitta di chiacchiere però ha fatto irruzione finalmente un pensiero, una riflessione geopolitica che fa capire almeno la vera posta in gioco nella partita del Colle. Il piccolo e denso libro di Giulio Sapelli e Lodovico Festa - «due sovranisti molto chic» li ha definiti Giuliano Ferrara - ha un titolo perentorio: «Draghi o il caos. La grande disgregazione: l'Italia ha una via d'uscita?» (Guerini e Associati). Il pamphlet ha dietro l'erudizione storica, politica ed economica di Sapelli, nella prima parte, per sfociare poi nella brillante analisi dell'oggi (e qui si sente di più la prosa giornalistica di Festa). Riprendo, dalle loro pagine, alcuni flash perché aiutano a inquadrare i termini del problema. Cominciamo dal primo, ovvero Mario Draghi che - secondo loro - fu «nominato grazie agli Stati Uniti al vertice della Bce».
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Perché quella scelta? «Nella contesa globale di potenza» scrivono i due autori «quella americana è una forma di capitalismo differente da quella "renana", franco-tedesca, attribuendo da sempre un ruolo ben diverso alla deflazione e al debito pubblico. E proprio per questo motivo richiede anche forze intellettuali in grado di contestare il verbo tedesco, austero e filocinese». Dunque «l'originalità e la forza di Draghi rispetto alla retorica europeista imperante» scrivono Sapelli e Festa «risiede nel fatto che ha rappresentato la versione americana e non tedesca di tale capitalismo, come prova il suo ruolo - sempre contestato dalla Bundesbank -nella Bce e la lotta che ha condotto per anni contro l'austerità stupida che ancora oggi sta distruggendo l'Europa... e il suo intervento riparatore a Francoforte, intervento che gli ha conferito quella speciale autorevolezza che ora pone al servizio dell'Italia». Veniamo agli altri elementi del titolo: il caos e la «grande disgregazione». Sono un'amara descrizione della situazione dell'Italia, sprofondata in una crisi economica ventennale (che è anche crisi politica, crisi di identità e crisi demografica), ora aggravata dal ciclone del Covid, nonché da una delegittimazione sempre più preoccupante delle istituzioni, dei partiti e del tessuto democratico. Se è stato decisivo che un tecnico come Draghi, uomo delle istituzioni, assumesse quest' anno in prima persona la guida di un governo di unità nazionale, per affrontare l'emergenza più drammatica, è anche vero - secondo Sapelli e Festa - che ora la politica deve riprendere il suo ruolo di governo.
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PROFILO IDEALE - Mentre il profilo di Draghi è perfetto per l'istituzione massima dello Stato: la presidenza della repubblica. Perché «quel che serve alla nostra nazione» argomentano i due autori «è un periodo di garanzia dall'alto che protegga la nostra vita politica e aiuti a far crescere partiti radicati sul territorio dove tra storia, famiglia e piccola impresa si esprime la nostra principale "forza"». Per chiarire il prezioso ruolo che Draghi può svolgere dal Quirinale i due autori ricordano «due "tecnici" senza l'azione dei quali non avremmo avuto lo sviluppo capitalistico nazionale che impetuosamente si è realizzato negli anni Cinquanta per poi consolidarsi fino alla fine degli anni Ottanta. Senza un "tecnico" come Alberto Beneduce, la sua Iri, il salvataggio della Commerciale da lui reso possibile non ci sarebbe stato neanche un "tecnico" come Raffaele Mattioli che poi tra Mediobanca ed Eni, collaborando con i governi Dc e dialogando con i comunisti, è stato tra gli uomini decisivi per porre le basi del miracolo economico post Seconda guerra mondiale. In questo senso la perfetta potenza di un supertecnico» concludono Sapelli e Festa «si manifesta non quando sostituisce il potere politico ma quando con la massima influenza possibile, si affianca al potere politico e lo indirizza verso lo sviluppo».
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La logica del libro è ferrea: «Se la nostra analisi sullo stato disperato in cui versano le istituzioni italiane è fondata, se si ritiene che la ricostruzione della disgregazione italiana, precipitata del decennio 2010-2020, sia corretta... allora quella che abbiamo definito "la chance" Draghi per salvare la Repubblica, va giocata nella partita del Quirinale con il massimo della consapevolezza». A rinforzo di questa tesi Sapelli e Festa sottolineano che «il caos italiano» è determinato da due fattori: «Una carenza di credibilità internazionale accentuata dalle mosse franco-tedesche tese a semplificare così la loro egemonia sulla governance europea, e una parallela e gravissima rottura tra società e istituzioni italiane».
DEM NEL PANICO - Tenere ancora Draghi a Palazzo Chigi potrebbe risolvere il primo problema, ma per quanto? Oltretutto le elezioni del 2023 sono dietro l'angolo.... Inoltre così si lascerebbe «andare alla deriva il sistema politico» perché «senza rinascita dei partiti la democrazia italiana non ha futuro». Del resto il caos e la disgregazione riguardano anche l'Unione Europea e continuare a farci commissariare dalla Ue, come è accaduto nel decennio scorso, non solo è disastroso per l'Italia, ma anche per la Ue: «L'Italia ha un ruolo centrale nell'Unione europea: se accetta di essere commissariata» concludono Sapelli e Festa «permette quella dialettica degli egoismi e delle chiusure che abbiamo vissuto particolarmente nell'ultimo decennio; se riacquista un'alta capacità di iniziativa fondata sul risanamento del suo Stato (e conseguentemente fino in fondo della politica) costringe tutti a fare i conti con le esigenze di riforma dell'Unione che sono urgenti quanto quelle italiane». Il libro di Sapelli e Festa merita di essere letto. Si possono avere preferenze diverse sul futuro inquilino del Quirinale, ma bisognerebbe saper sfornare, a supporto, analisi dello stesso valore. Dal Pd - che sembra essere oggi il principale avversario dell'elezione di Draghi al Colle - traspare solo la paura di non poter eleggere ancora una volta uno dei suoi candidati. Politica di piccolo cabotaggio.
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