Segnaletica gender
Ddl Zan, il trucco da falsari del Pd: perché per loro ormai è un'ossessione
Zan e ri -Zan. Il ddl intestato all'omonimo deputato del Partito democratico era stato respinto al Senato una settimana fa. Ora nel Parlamento degli imbrogli e dei sotterfugi è rientrato in pista con uno stratagemma burlesco: di contrabbando e in monopattino. Prendete nota di quest' ultima parola: monopattino. Ci spieghiamo tra un attimo. Ricordate? Era stata una votazione drammatica, come sempre quando il caso è serio. Il voto era segreto, perché la materia attiene alla personale visione del mondo, attraversa le coscienze, e non è sottoponibile a ricatti di appartenenza. Chi si opponeva alla approvazione del ddl così com' era, perciò ne chiedeva il ritiro, spiegò le proprie ragioni a viso aperto. Funziona così in democrazia. Dissero gli esponenti di centro destra, e diremmo del buon senso che per fortuna è più largo degli schieramenti ufficiali, che gli articoli del ddl andavano benissimo finché punivano violenza e discriminazioni di omo-bi-transessuali.
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Proposero alla sinistra e al M5S di eliminare l'ideologia gender come dottrina ufficiale della nazione, e come tale imposta per legge ai cittadini e da inserire nei programmi scolastici di scuole statali e no. Una morale secondo cui non esistono maschi e femmine, madri e padri, il genere di appartenenza è fluido, ciascuno decide il suo. Sbagliato? Giusto? Il fatto è che con il ddl Zan sarebbe diventata vincolante, una religione di Stato. Su questa enormità è caduta la legge. Non per riflessi omofobici (ma dove, ma quando), bensì sull'idea di libertà e sul diritto di ciascuna famiglia a educare i figli secondo le proprie convinzioni. Il Senato ha rimandato il testo all'esame di riparazione. Invece - notizia di ieri - è accaduto che la Camera abbia reintrodotto proprio il succo tossico della legge che ne aveva determinato il respingimento. Non però a seguito di un confronto di idee dove inalberare lealmente ciascuno il proprio credo, come accaduto a Palazzo Madama, ma umiliando con un trucco da falsari la sovranità popolare che pure dovrebbe avere qualche peso anche a Montecitorio.
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Alessia Rotta e Raffaella Paita, tutt' e due del Pd, profittando del loro potere di presidenti di Commissione Ambiente e Trasporti, trovandosi sottomano il decreto-legge del governo intitolato «disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale» hanno infilato il cuore dell'ideologia gender in quel guscio alla maniera del Paguro Bernardo. Nessuna discussione. Un emendamentuccio. Hanno aspettato che il Parlamento si girasse un attimo, e gli hanno infilato la pasticca a tradimento nel bicchiere, e il guaio è che se l'è bevuta senza capire. Il Pd, con l'egida del governo, ha così colonizzato regole riguardanti monopattini (rieccoli), rotatorie, rimorchi, caravan e simili. In un sotto-comma, quater o qualcosa del genere, si ordina la censura di cartelli stradali e scritte su auto e pullman ove l'autorità rilevi «messaggi lesivi» dell'«identità di genere». In pratica niente pubblicità che introduca concetti come padre e madre, o si contesti il pensiero unico sulla fluidità sessuale. Si dirà che sono particolari, in cui si gioca pur sempre la libertà, ma marginali. Ehi, ma non vedete che si è infilato con premeditazione un serpente a sonagli nella legislazione? Lo si è fatto per di più mettendo in pratica un'idea furfantesca. I vertici del Pd non ne sapevano nulla? E il presidente della Camera Raffaele Fico come ha potuto consentire un emendamento truffa di tale fatta? Zane ri-Zan? No, grazie.