Affari pubblici

Pubblica Amministrazione, l'ex presidente dell'Inps Mastrapasqua: "Lo Stato impari dai privati come attirare giovani talenti"

Antonio Mastrapasqua

Choosy o bamboccioni? Le etichette di Elsa Fornero e di Tommaso Padoa Schioppa sono rimaste nel repertorio delle battute infelici. O mal comprese. Non da oggi resiste molta retorica sul profilo dei giovani italiani. Se è vero che la famiglia e la società hanno peccato di un eccesso di "protezione" nei loro confronti, è ancor più vero che loro, i giovani di oggi, sono diversi da noi. Molto più competitivi e meritocratici. Anche per questo non sembrano attratti dall'occupazione nella Pubblica Amministrazione. E' uno dei dati che emerge da un recente sondaggio condotto da Proger Index Research ("La Pa vista dai giovani"): il 70% dei giovani (tra i 25 e i 35 anni) dichiara che non vuole andare a lavorare in un ente pubblico. La fotografia scattata dice molto sui giovani e molto sulla Pubblica Amministrazione. Il "no" alla Pa è chiaro e circostanziato: poco più del 26% ritiene che negli uffici pubblici non si premi il merito; e il 30% sostiene che il percorso di carriera nel "pubblico" non debba essere stimolante. I nostri figli non hanno abbattuto i confini nazionali solo grazie all'Erasmus, si sono abituati a guardare il mondo attraverso i social network, che di barriere proprio non ne hanno e che suggeriscono un confronto a volte feroce tra idee e opinioni, senza filtri né protezioni. A volte idealizzando, a volte pretendendo, i giovani sembrano non accettare l'idea di non mettere al primo posto il merito. E infatti in testa alle ragioni che fanno escludere una carriera nella Pubblica Amministrazione c'è la convinzione (oltre il 35%) che "si entra solo per raccomandazione".

 

 

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Raccomandazione
E’ vero che conviviamo con una transizione demografica infausta, e con il fenomeno dei Neet (i giovani che non studiano e non lavorano), che in Italia ha proporzioni preoccupanti: almeno un giovane su quattro è in questa condizione limbica. Circa il doppio della media Ue. Ed è vero che la condizione giovanile nel suo complesso mostra criticità rilevanti: il recente sondaggio Eures ci dice che a 5 anni dal completamento degli studi, soltanto poco più di uno su 3 (37%) ha infatti un lavoro stabile, mentre un quarto degli intervistati (24%) risulta disoccupato. Ma è pur vero che i giovani devono essere attratti e motivati. Qui emerge l'altro elemento drammatico del sondaggio di Proger Index Research: proprio la scarsa capacità attrattiva e motivazionale della Pubblica Amministrazione. Lo sforzo titanico che sta compiendo il ministro Brunetta, anche sul fronte occupazionale - con l'obiettivo di arruolare 100mila giovani all'anno nella Pa - deve fare i conti con una cultura della e nella Pa che rende il "pubblico" poco attrattivo. Non solo il 70% dei giovani non vuole lavorare in un ufficio pubblico, ma di quel 30% che si disporrebbe a farlo, solo il 27% ritiene che ci sia l'occasione di un lavoro interessante; quasi il 59% sceglierebbe la Pa per il "posto sicuro". Meno del 5% vorrebbe lavorare nella Pa con lo spirito del "civil servant" ("per fare un lavoro che riguardi la collettività"). E qui il problema è tutto della Pa e della reputazione che ha costruito e sopportato.

 

 

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Fango
Dopo anni di fango sulle Istituzioni e sulla burocrazia era impensabile che ci potessero essere evidenze diverse. Non sembri una banalità ricordare che la legge del 1998 che detta le norme sull’obbligo di esposizione della bandiera negli uffici pubblici sia stata vissuta come un ingombrante adempimento. Un tempo i dipendenti pubblici prestavano giuramento. Andrebbe reintrodotto? Concordo con il ministro Brunetta, che ha risposto: “Sì, sono d’accordo. Purché non sia soltanto un pennacchio”. Di certo bisogna “ridare ai dipendenti pubblici l’orgoglio e l’onore di far parte della Pubblica amministrazione. Essere dipendenti pubblici significa fare l’interesse del Paese”. Da anni esistono classifiche internazionali e nazionali per segnalare le aziende “top employer”, quelle nelle quali i giovani vorrebbero prestare la loro attività per le condizioni di lavoro, i benefit, i piani di carriera, gli investimenti in formazione e sviluppo, l’attenzione alla crescita professionale e personale dei dipendenti. La Pa dovrebbe puntare a questo, a diventare una “top employer” per attirare talenti e risorse al servizio del Paese.