Tempi che cambiano
25 aprile, una festa della Liberazione stravolta dal Covid: la Costituzione grida vendetta
In mezzo alla solita melassa montata sul 25 aprile, che come sempre scomoda tutto, tranne i veri Liberatori (le armate angloamericane), Mario Draghi ha detto alcune parole secche, importanti, meritevoli. Parlando dal Museo della Liberazione di via Tasso a Roma, ha scandito: «Le libertà e i diritti non sono barattabili con nulla. Ma sono più fragili di quanto si pensi». Ha ragione, dannazione se ha ragione.
Pensate a che stadio fantasmatico sono ridotti questi due aggeggi non esattamente secondari, le libertà e i diritti, dopo un anno di pandemia, complici una scellerata ideologia "chiusurista" che non ha evitato all'Italia il record di morti per Covid in rapporto alla popolazione, la conferma in ruoli chiave (tipo il Ministero della Sanità, Salute è roba da Minculpop, a proposito di 25 aprile) di residuati marxisti come Speranza, il coro a sostegno di vip o presunti tali avvezzi a denunciare il vicino di casa se riceve due amici per non sprofondare del tutto nella depressione. Sono fragilissimi, le libertà e i diritti, tanto che ce li siamo in buona parte giocati tra gli applausi convinti di quell'intellighenzia conformista che fino a due anni fa (stra)parlava di «Costituzione più bella del mondo», nata appunto (tromboneggiavano) dalla Resistenza.
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Ebbene, solo due esempi, due incipit di articoli fondamentali della Carta, oggi ridotta piuttosto a carta straccia. Articolo 1: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». No, in questi mesi abbiamo imparato che il lavoro è congelabile e sacrificabile, specie se frutto di libera impresa. Articolo 13: «La libertà personale è inviolabile». Macché, così magari la pensavano i padri costituenti, ma solo perché non c'erano Galli&Crisanti a redarguirli. Essì, caro Draghi, perché ha perfettamente ragione, «le libertà e i diritti non sono barattabili con nulla». Quindi, nemmeno con il dogma della salute fisica astratto e sezionato dalla vita (che puzza lontano un miglio di nazionalsocialismo, sempre per stare al 25 aprile), con i decimali in più o in meno dell'indice di contagio, con i cervellotici passaggi cromatici delle Regioni in base ai criteri stilati da qualche oscuro burocrate, con le guerre interne al Comitato tecnico-scientifico.
Semplicemente, la libertà viene prima, è un diritto naturale. Ha totalmente ragione, dottor Mario Draghi, ora non le resta che comunicarlo al presidente del Consiglio Draghi Mario. Lui lo sa, intendiamoci, ha costruito gran parte della sua carriera dove il «diritto inalienabile alla libertà» sta nella Dichiarazione fondativa, in quell'America che appunto fu la vera autrice della rotta del nazifascismo.
Ma molti ministri del suo governo, e molti partiti della sua coalizione, con ogni evidenza non ne hanno la più pallida idea. Sono i fanatici del coprifuoco, misura liberticida se ce n'è una, che non a caso comparve per la (pen)ultima volta nella disgraziata storia italica nell'anno 1943, quando il 25 aprile era di là da venire. Uno su tutti, il succitato Speranza, che ancora ieri sfoggiava il suo analfabetismo liberale: «L'orario delle 22 ci consente di ridurre la mobilità ed è una scelta che il governo ha deciso dentro una cornice di prudenza». Ennò, il suo premier sostiene che la libertà «non è barattabile con nulla», figuriamoci con «una cornice di prudenza» (ragionamento che peraltro avrebbe inibito le azioni di quei partigiani con cui oggi quelli come Speranza si riempiono la bocca).
Li deve proprio prendere per le orecchie, questi suoi compagni (badi, non è parola usata a caso, sono gli stessi che da decenni monopolizzano la memoria di quella Resistenza composita che lei ha omaggiato), dottor Draghi, perché come giustamente ha aggiunto nel suo discorso «constatiamo con preoccupazione l'appannarsi dei confini che la Storia ha tracciato tra democrazie e regimi autoritari». Il coprifuoco, l'autocertificazione per uscire di casa, la chiusura forzata della tua attività senza che lo Stato ti rimborsi il fatturato mancato, è evidente a quale dei due mondi appartengano. Oggi, non settant' anni fa.