Scacchiere
Matteo Salvini, Pietro Senaldi: la guerra del leghista a Mario Draghi, nessuna tregua sulle riaperture
Che ci sta a fare la Lega nel governo? «L'opposizione» chiosa il leader del Pd, Enrico Letta, all'indomani della decisione di Matteo Salvini di non votare il decreto sulle riaperture di lunedì, optando per l'astensione. «Il baluardo della libertà e dei diritti contro la politica delle chiusure imposta a Draghi dalla sinistra» risponde l'ex ministro dell'Interno. Il capo dei dem ammette di voler portare l'orologio indietro fino al 1993, l'era del tecnico Ciampi a Palazzo Chigi, e c'è da credergli, perché allora Forza Italia non era ancora nata, la Lega era opposizione secessionista e la sinistra preparava la sua gioiosa macchina da guerra che poi si schiantò alle prime elezioni. Grandi scenari, d'altronde Enrico fino a ieri insegnava la politica all'università di Parigi. Salvini invece non ragiona di massimi sistemi, guarda più in basso, alle saracinesche chiuse dei negozi e ai conti in rosso delle partite Iva. In mezzo c'è il premier, che rimescola il minestrone della maggioranza, che inizia ad andargli di traverso. Draghi è scocciato con la Lega, che non si è allineata sulle posizioni del governo sul mantenimento del coprifuoco alle 22 e l'apertura delle scuole superiori con il 70% degli studenti in presenza. Il banchiere dei tre mondi preferirebbe che, come il Pd, la Lega si dedicasse all'inessenziale del momento: voto ai minorenni, ius soli, quote rosa e altre amenità. Invece Salvini conosce un solo modo per governare: prendere i problemi di petto, l'ha dimostrato quando era al Viminale, nella lotta all'immigrazione clandestina. Oggi l'emergenza è economica e scolastica, oltre che sanitaria. La Lega se ne occupa e i democratici la accusano per questo di fare opposizione, mentre sono loro a voltarsi dall'altra parte se i cittadini scendono in piazza, preferendo fare propaganda su temi secondari che però consolidano la loro immagine.
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La battaglia di Stalingrado è quella sul coprifuoco. Speranza e soci lo vogliono mantenere alle 22, Salvini, e ora anche Forza Italia, puntano alle 23. Che sarà mai un'ora in più in termini sanitari? Quanti contagi vale? Meno dei soldi che porterebbe nelle casse dei ristoratori, ai quali sarebbe garantita la possibilità del doppio turno; ma forse in molti casi anche del primo, perché se devi rientrare all'ora del contrappello, ti passa la voglia di andare a mangiare fuori e spendere. Draghi ha scelto la via della prudenza e il centrodestra non vuol sentirci. Certo, è naturale che in queste ore il leader della Lega faccia la parte del rompiballe agli occhi del premier. Ma Matteo in questo momento non è il problema del presidente del Consiglio, piuttosto è quello che gli indica i problemi della società, il tramite che lo mette in contatto con il Paese reale, quello che non si impara a conoscere nelle banche istituzionali di Francoforte o in quelle d'affari americane. Gli analisti dalle facili disamine sostengono, pienamente appoggiati dal Pd, che l'ex ministro dell'Interno metta i bastoni tra le ruote di Palazzo Chigi per scelta tattica, in quanto non vuol lasciare tutto lo spazio dell'opposizione a Giorgia Meloni. Accusano la Lega di atteggiamento poco serio e antigovernativo. Suona provocatorio detto da chi si è fatto fotografare, pochi giorni prima del processo, con i leader dei barconi che hanno mandato alla sbarra Salvini.
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DALLA PARTE DI CHI LAVORA
Certo, nelle impuntature del capo della Lega ci saranno anche ragioni tattiche; d'altronde è stata la sinistra la prima a voler sfruttare l'epidemia in chiave politica, come imperdibile occasione per imporre la propria ideologia. Lo ha scritto un ministro giallorosso in un suo sfortunato libro. Ma quella di Salvini di appoggiare criticamente la maggioranza non è una scelta tattica, bensì questione strategica. La Lega è entrata nel governo non per sdoganarsi in Europa, come sostiene la sinistra, ma per rappresentare le imprese, i ceti produttivi e i lavoratori autonomi che il governo giallorosso, in furore pandemico, ha ignorato, proiettato in un progetto dirigista e autopromozionale. Draghi ha ereditato un'Italia in cui le differenze tra ricchi e poveri, protetti e non garantiti, si sono allargate immensamente. È paradossale ma non casuale che questo sia avvenuto sotto un governo giallorosso, il cosiddetto esecutivo delle (ben) quattro sinistre. Il centrodestra di governo si è dato la missione di far recuperare terreno a chi è rimasto indietro e di far ripartire il Paese non solo grazie ai soldi, a debito, dell'Europa, ma anche con il lavoro degli italiani, che non è fatto solo di grandi progetti e opere pubbliche ma anche di tasse e circolazione di ricchezza prodotta da chi rischia del suo ogni giorno. Difficilmente Salvini rinuncerà a questo, anche se dovesse significare, ogni tanto, fare a cazzotti con il premier. Quanto alla mozione di sfiducia al ministro Speranza, presentata da Fratelli d'Italia, il leader della Lega non ha ancora chiarito se la voterà o meno, e questo lo ha esposto a ulteriori critiche da parte della sinistra, pronta ad accusarlo di sabotaggio, nel caso si esprimesse contro il titolare della Salute. Altro gioco di illusione ottica tentato dalla sinistra: se M5S e Pd possono cercare di far condannare il leader della Lega a quindici anni di carcere senza essere accusati di voler minare l'esecutivo, come si può leggere come uno sgarbo al premier un semplice voto contrario a un ministro? Quando la maggioranza è un minestrone, ci impiega tanto a cuocere.
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