Polveriera tricolore
Filippo Facci e le proteste in piazza: "Le persone stufe di bersi fesserie, questo è soltanto l'inizio"
La maggioranza, semplicemente, non è più silenziosa. Lo è rimasta per troppo tempo e si è bevuta tutte le ca***te del governo precedente (che possa marcire all'inferno) quindi non ci sono «tafferugli», non ci sono «facinorosi», perché scendere in piazza - un paio di volte al secolo - può anche essere un dovere storico. Ci sono concetti che a furia di ripeterli si svuotano di significato: così da un lato (non) ricordiamo che la Pandemia riproduce scenari paragonabili solo alla Seconda Guerra mondiale, dall'altra reagiamo come se la gente fosse scesa in piazza per l'aumento dei buoni pasto. Ci si allambiccava per mezzo punto di Pil perso o guadagnato, sino a un anno fa, mentre oggi non c'è nessuno che si dispera se perdiamo punti a doppia cifra, ce ne freghiamo, ed è quasi una liberazione: però poi si guarda con sospetto a intere categorie di italiani che non hanno letteralmente da mangiare.
Ma chi li guarda e li giudica? Chi è ad arbitrare con le regole del vecchio campo di gioco mentre il campo è completamente cambiato? Risposta: è chi non fa la Storia, non la cambia, perché la Storia di ogni tempo si cambia anche in piazza: dunque sono gli «osservatori», i tuttologi giornalisti, gli ex intellettuali, sono economicamente - perché ormai siamo ridotti a categorie economiche - i garantiti, chi recensisce solo il passato perché del presente non capisce mai un cazzo. Non capisce, per esempio, che non è mai accaduto che la gente scendesse in piazza non per lavorare meno, ma per ottenere almeno l'autorizzazione a provarci come da articolo 1 della Costituzione. In tutto questo ci sono distinguo che non esistono, e pochi che resistono. Non esistono quelli tra negazionisti, pensionati, popoli delle partite Iva, minimizzatori, evasori, fannulloni, ipergarantiti, fanc***sti, statali, autonomi, ristoratori e ristorati, non esiste soprattutto quel «popolo del web» che è solo un'immensa biblioteca di Babele, dove i giornalisti trovano e s' inventano i nemici o gli spalleggiatori dei loro articoli del giorno. Esistono, invece, quelle sì, le differenze tra paese e paese, tra un governo e l'altro, tra chi ha fatto errori e chi meno, tra chi ha chiuso sempre e chi non ha chiuso mai, tra chi si è mosso prima e chi in fatale ritardo, tra chi deve sussidiarti e chi invece ti fa penare per darti un'elemosina.
LA FORZA DELLA REALTÀ
Il Covid c'è quasi dappertutto, ma non c'è dappertutto un turismo calato dell'85 per cento e albergatori che guadagnavano 100 e dopo una vita hanno ricevuto 5 dallo Stato. Non in tutti i paesi ci sono ristoratori che sono ricorsi agli usurai per poter pagare i dipendenti. Non in tutte le manifestazioni coloro che si travestono da clown o da sciamani sono dei clown o dei falsi sciamani. Non in tutte le nazioni ci sono tasse che restano identiche, i bolli e le accise sui carburanti pure, e così le rate e i leasing. Nessun virus o squilibrio mentale ha trasformato i bancarellari in sovversivi, nessun virus ha ammazzato i 355mila autonomi che rispetto a un anno fa non esistono più, o forse si sono ammalati di daltonismo a forza di veder cambiare i colori della propria regione.
Non dappertutto c'è gente che ha i capelli alle spalle perché i parrucchieri non riaprono mai, o deve sentirsi uno sportivo fraudolento perché fa jogging con le palestre che sono un lontano ricordo. Non ovunque serve una Lamorgese a ricordare che la violenza contro le forze dell'Ordine «è inammissibile» (ma davvero?) mentre in tutte - ma proprio tutte - le manifestazioni sappiamo che s' infila anche il cretino, il lanciatore di sassi e di bottiglie che si guadagnerà titolo e immagini di giornale: e noi qui alla ricerca di una «regia», di chi «soffia sul fuoco», di una sola «strategia che punta allo sfascio», cercando l'antagonista col cappuccio o il casco, il coglione dei centri sociali di destra o di sinistra, lo specialista nel blocco di rotaie e autostrade. Siamo qui col problema di «distinguere i lavoratori da chi fomenta l'ira», un esercizio demente, perché l'unica distinzione che interessa davvero è tra chi ha governato male e chi ha governato peggio, tra chi sta male e chi sta malissimo, e tuttavia, ora, si ritrova giudicato da chi la fame e la rabbia semplicemente non ce l'ha. Un milione di disoccupati in un anno: ma il problema è diventato «distinguere», non la vergogna di una Pasqua in cui sono andati in vacanza anche i vaccini, non quei mezzi pubblici (statali) infestati dal virus e dal cattivo esempio, non l'incapacità cronica di spiegare chiaramente perché ci sono paesi che stanno ripartendo e tra questi non ci siamo noi.
COSA ACCADE ALTROVE
Ma cosa credono, che non siano scesi in piazza anche in Francia, Germania, Spagna, Olanda o Inghilterra, nei mesi scorsi? La differenza è che la stampa - lì - non si è scomposta troppo: non come noi che intravediamo dietrologie anche se scendono in piazza i pensionati. Possibile che davvero non capiscano ciò che è semplice? La maggioranza non è più silenziosa perché non ce la fa più, e puntualizzarlo non è «irresponsabile» né è «soffiare sul fuoco»: andrebbero calcolate, semmai, tutte le volte che la gente in piazza non ci è scesa, quanto sia durata a lungo la retorica dell'Italia paziente e solidale, la ridicola Italia dei balconi, quanto il Paese sia rimasto appeso alle labbra del virologo di turno e abbia pazientemente aspettato che la scienza facesse la propria parte: bene, ora l'ha fatta. Abbiamo ottenuto vaccini in cui nessuno sperava per velocità e numero, e la differenza, quindi e ora, la sta facendo solo la politica da paese a paese. È la politica che ottiene o non ottiene i vaccini, che stende o non stende seri piani vaccinali, che nel nostro caso non ha ancora tutelato tutti gli ultrasettantenni che sono il vero problema - perché sono loro a morire - ed è la politica, perciò, a trattare da «facinoroso» un Paese reale e composto anche da chi, mai e poi mai, avrebbe pensato di conoscere gli stenti, o di protestare in una piazza, o di andare col cappello in mano da un profittatore.
È la politica a scegliere le chiusure laddove altri hanno aperto a pari condizioni, è la politica ad aver dato meno sostegni rispetto ad altri paesi, a non riaprire nemmeno i ristoranti a mezzogiorno, a passare da un estate irresponsabile - quella scorsa - a un futuro evocato come se dovesse essere un eterno inverno. Sei tu, Stato, che mi tieni a casa perché non hai i vaccini. Sei tu, Stato, che parli sempre al futuro ma non mi dai un'indicazione, un programma, una ca***o di road map che mi consenta almeno di prepararmi, mettermi l'anima e lo stomaco in pace. Sei tu, è vero, che sconti la vergogna di chi ti ha preceduto e che noi abbiamo vergognosamente votato: ma siamo noi che siamo in piazza, perché è quello, ora, il nostro posto; mentre quello della politica è rinchiuso tra quattro mura - lei sì - perché deve trovare le soluzioni.