In pista
Flavio Briatore sulla Formula 1 che riparte: "Solo Verstappen può battere Hamilton"
Flavio Briatore, domenica in Bahrain riparte la F1 con il regolamento che, causa Covid, è rimasto sostanzialmente invariato.
«Dunque c'è da attendersi lo stesso dalle prestazioni delle monoposto. La Mercedes è la più forte, la Red Bull è forte, Stroll sarà forte perché guida una Aston Martin che praticamente è una Mercedes, anche se non ho capito perché hanno preso Vettel. Le prime sei macchine sono queste. Poi in ordine sparso Ferrari, Alpha Tauri, Alpine, McLaren».
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Perciò il Mondiale piloti chi lo vince?
«L'unico che può dar fastidio alla caccia dell'ottavo titolo di Hamilton è Verstappen, grande pilota, coraggioso e il più spettacolare».
A proposito di spettacolo, hanno ancora senso gare di questo tipo? Spesso non succede nulla per tanti minuti.
«La F1 deve interagire con i giovani e catturarli perché loro non la seguono. Ogni Gp è un evento troppo lungo, siccome quello che attira di più è la partenza, ho sempre proposto di fare due gare in una, con la chance per chi esce in gara-1 rientrare nella seconda dove vanno invertiti i primi quattro arrivati al traguardo. Fai correre la metà dei giri, poi fra i due Gp metti un quarto d'ora di pausa con interviste ai piloti a caldo, qualcuno magari è anche incazzato e può essere interessante, e poi fai la seconda partenza. Devono essere gare più movimentate e più corte».
Ci sarà una grossa "forchetta" di età fra i piloti: si va dal debuttante 20enne Tsunoda (AlphaTauri), primo nato dopo il 2000 a correre in F1, al 41enne Raikkonen (Alfa Romeo).
«Ai tempi nostri un pilota maturava sui 28/30 anni, parlo di Senna, Prost, Mansell. Il primo giovane che ha ribaltato tutto l'ho portato io ed era Michael Schumacher. Aveva 22 anni quando l'ho messo sulla Benetton, ha cambiato modo di essere piloti di F1. Faceva quattro ore di palestra al giorno, mentre gli altri si limitavano agli esercizi in spiaggia e un po' di corsetta. Michael ha costretto gli altri ad essere alla sua altezza, ad essere atleti. Il ragionamento era semplice: più sei in forma, più sei lucido e meno errori fai. Un giorno dopo il Gp di San Paolo Senna quasi crollava e Mansell dopo una gara è svenuto due volte. Michael finiva senza una goccia di sudore».
Sono passati 30 anni da quando lo ha strappato a Eddie Jordan.
«Sì, era l'aprile 1991. Alla Benetton non sarebbe venuto nessun "big", eravamo un'azienda di magliette. Perciò, non avendo soldi, serviva un pilota da far crescere. Capita che Gachot in Inghilterra aggredisce un taxista e finisce in galera, la Jordan lo sostituisce per il Gp del Belgio con Schumi, che io avevo già adocchiato. Michael a Jordan aveva mentito, dicendo di conoscere benissimo Spa. Ma l'aveva vista solo in tv».
E...?
«Al sabato fa settimo in qualifica. Chiamo subito il suo managaer, Willi Weber, "Lunedì ci vediamo", perché sapevo che il contratto che Michael aveva con Jordan era subordinato a uno sponsor che non avrebbe pagato».
Il giorno dopo in gara Schumi ruppe al primo giro.
«Non ci feci neanche caso. Il nome stesso "Michael Schumacher" è da campione predestinato, lo sentivo. Luciano Benetton era in Giappone e non sapeva niente, lesse sui giornali che mi avevano sequestrato i garage a Monza dopo che avevo licenziato Roberto Moreno per far posto a Michael e mi chiamò: "Ma tutto questo casino per cosa? Questo Schumacher è parente del portiere della Germania?”. Vincerà il mondiale gli dissi. E lui si mise a ridere: “Fai pure”».
Non è male avere un principale che dà carta bianca.
«Era la regola di Luciano: “Il responsabile della F1 è Flavio, parlate con lui”. Stop».
Ora tocca Mick, il figlio di Schumi, 22 anni appena fatti e debutterà con la Haas.
«Credo che Mick sia ottimo ma dovrà dimostrare tutto. Suo padre era palesemente un fuoriclasse. In quel 1991 dovevamo fargli il sedile e la pedaliera per Monza e lo mandai per il test a Pembrey, in Galles, dove c’è questo circuito di merda spesso ricoperto di brina gelata, come quel giorno. In tre giri abbassò il record del tracciato di un secondo. Mi chiamò un ingegnere: “Boss, hai trovato uno formidabile”».
E lei?
«Telefonai subito a Benetton: “Abbiamo quello che cifarà vincere il Mondiale”. Sbagliavo: ne vincemmo due».
Lo stesso feeling lo ha avuto con Alonso.
«Nando lo feci debuttare con la Minardi e Giancarlo venne subito da me: “Questo vincerà il titolo”».
Da cosa si riconosce un fenomeno?
«Guardate cosa fa Hamilton con quella Mercedes e cosa fa Bottas. Ci sono: i piloti coi soldi, i piloti bravi, i piloti bravissimi e una percentuale minima di fenomeni e io ne ho visti quattro, Senna, Prost, Schumacher e Alonso, e gestiti due".
Uno lo gestisce ancora, Alonso. È da titolo?
«Con la Alpine, ex Renault, non credo ancora, perché il Mondiale lo vinci quando hai pacchetto completo fra pilota, strategia, macchina. Noi con la Benetton non avevamo la macchina migliore ma c’era sempre tutto che funzionava. E poi c’era Schumi».
Perché Nando è tornato?
«Per passione. In questi due anni di disintossicazione dalla F1 ha corso su qualsiasi cosa avesse quattro ruote e da protagonista. A Indianapolis ha rischiato di vincere la 500 miglia, alla fine 400mila persone gli hanno fatto la standing ovation come una rockstar. C’era la possibilità di tornare e ha deciso di farlo in Renault, con cui abbiamo vinto i Mondiali 2005 e 2006 ed è stimolante lavorare con il nuovo chairman, Luca De Meo, uno molto motivato. L’annata sarà difficile, la macchina è quasi la stessa del 2020 e quindi c’è da puntare subito sul 2022».
Stefano Domenicali, nuovo Ceo della F1, ha appena detto che la prossima stagione ci saranno «macchine rivoluzionarie».
«È giusto. Stefano è uno che ha la fiducia dei team perché conosce la F1 dal di dentro, sa come si negozia. Dovrà cambiare la parte tecnica ma anche quella commerciale, trasformare un Gp in un evento che non sia non solo una gara di macchine: dovrà esserci un po’ di tutto, una grande festa per connettere e far incontrare la gente. Ora, Covid a parte, è ancora tutto troppo asettico. È un disconnecting people».
Domenicali farà più comodo alla F1 o avrebbe più fatto comodo alla Ferrari?
«Sta benissimo dov’è adesso, il capo del team l’ha fatto per anni, non credo abbia ancora voglia».
E Briatore gestore di una squadra?
«L’ho fatto per venti anni vincendo 7 mondiali e gare con tre team, Benetton, Ligier eRenault. Ho fatto vincere Fisichella, ho fatto vincere Trulli, Panis, Piquet, Nannini. “Nano” a un certo punto poteva essere la rivelazione, uno degli italiani più forti: poi quell’agosto del 1990 ebbe l’incidente in elicottero dove ci rimise la mano e la carriera. L’avevo obbligato a buttar via le sigarette, a fare preparazione atletica, era arrivato a un grande livello e aveva un gran talento. Che dramma. L agara dopo l’abbiamo vinta per lui».
Talento, diceva. Leclerc ne ha, Sainz pure ed entrambi hanno anche “fame”: la Ferrari si è messa due galli nel pollaio?
«Non credo, sono ragazzi ed è piùfacili gestirli. Avere insieme Senna e Prost, o Hamilton e Alonso, era un’ altra cosa. Charles e Carlos hanno un potenziale enorme ma la linea che divide il grande pilota dal campione è sottile. Certo che quest’anno anche loro faticheranno, se la Ferrari non ha trovato qualcosa per migliorare un po’».
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