Sussurri a palazzo
Roberto Speranza, l'abominevole ministro delle nevi? Indiscrezione: perché Mario Draghi lo ha confermato
Bisognerebbe chiamare Reinhold Messner per il riconoscimento ufficiale. Fu lui il più autorevole testimone visivo dell'apparizione sull'Himalaya dell'orrenda creatura. Allora, signor Messner ci dica: è lui o non è lui? Ma sì che è lui: Roberto Speranza è l'abominevole ministro delle nevi. Dopo di che la mia proposta sarebbe: sedarlo e impagliarlo. Detta così fa ridere. In sostanza è una tragedia. Economica, politica, morale. Questa creatura lucana è considerata - a parte Mara Carfagna, secondo le pagelle date da Concita De Gregorio - l'estrema sinistra del governo. Il compagno Roberto ha chiuso con una firmetta le Alpi e gli Appennini, usando le maniere spicce degli ukaz sovietici. Ha bloccato con uno svolazzo su un decreto autocratico la vita stessa delle zone montuose d'Italia inutilmente coperte di provvida neve, che era stata battuta con ardore dai "gatti" e poi con delicatezza lisciata dai maestri per essere percorsa da milioni di sciatori in astinenza da un anno. Com' erano soddisfatti, cominciavano a respirare i disgraziati fornitori di magnifici servizi. Gli ski-lift pronti a misura di Covid, le code per salirci dinoccolatissime e a prova di ressa. Insomma, poca sciolina e molta amuchina. E invece è apparso con cipiglio spaventevole l'abominevole, in perfetta rima da yeti.
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L'antecedente storico di questa mossa dittatoriale è la lotta di Stalin contro i kulaki (i contadini proprietari di un paio di mucche) dell'Ucraina negli anni 30. Resistevano la collettivizzazione. Li fece morire letteralmente di fame. Nessuna intenzione di stabilire un'equivalenza, e ci mancherebbe. Ma l'idea di prepotenza è la medesima. Se posso praticare un potere assoluto, lo afferro con due mani e lo esercito. Per il bene della causa, che coincide con la volontà di chi comanda. E al diavolo il popolo bue. Secondo quanto spiegò a suo tempo in un dotto articolo il giurista Sabino Cassese il governo Conte ha brandito gli strumenti tipici dello stato di guerra, senza nessuna dichiarazione di guerra. Con la compressione anticostituzionale delle libertà individuali e l'esautorazione di qualsivoglia simulacro di democrazia.
Draghi non pare muoversi alla stessa maniera. Senza permesso, Speranza invece sì. Ed è così che - sentito il Comitato tecnico scientifico - per la terza volta ha fatto finta di scandire il conto alla rovescia per il via al turismo della neve, e poi stop. La prima volta è stato il 2 gennaio. Gli impianti e il relativo comparto alberghiero era stato stabilito aprissero il 7 gennaio. Cinque giorni prima ha fatto sapere che non era il caso. E la data fatidica è stata spostata al 18 gennaio «su consiglio delle Regioni per prepararsi meglio».
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Si prepararono eccome. Si è protratto il fermo fino al 15 febbraio. E siamo già nel mondo di Draghi. Uguale a quello di Conte, a quanto pare. A 12 ore dall'annunciato semaforo verde, con le località già colme di sciatori, e le funivie e seggiovie tirate a lucido e sanificate, contrordine, italiani: da domani non si scia. Si riapre forse il 5 marzo. Ah sì? Stagione finita. Speranza dice: «Prima la salute, manderemo subito i ristori». A parte che non ci crediamo. Resta lo spreco di risorse, di speranze, di voglia di ripartire. È chiaro che la salute è importantissima. La salute però è anche evitare di uccidere l'animo di intere comunità trattate come schiave agli ordini di ghiribizzi parascientifici. Non è esasperando irrazionalmente il principio di precauzione che si salva la vita alla gente. Possibile che gli algoritmi di cui sono armati gli epidemiologi funzionino solo all'ultimo istante e valgano solo in montagna?
Non è stato spiegato da Speranza e dagli scienziati perché mai il Covid in versione londinese debba avere come terreno di caccia esclusivo le piste da sci, da bob e da slittino, ed invece trascuri le piste ciclabili e quelle per i monopattini; non salga sui treni o sulle metropolitane dove c'è più gente in un vagone che in tutta Madesimo o Cortina, ma in compenso gremisca le ovovie. I casi personali sono sempre i più istruttivi per cogliere le assurdità. Stazione centrale di Milano e Termini in Roma, per fortuna!, Speranza non le ha serrate.
I punti dove ci si tocca, ci si respira addosso, sono proprio i check point anti-Covid delle stazioni. Le quali di primissima mattina sono semi vuote. In compenso ci sono assembramenti causati dalle misure di sicurezza. Infatti invece di andare direttamente ai binari bisogna incolonnarsi per compilare e consegnare le autocertificazioni. Tavolini dove ci si ammassa. I migranti che non parlano italiano si fanno aiutare a scrivere i questionari. La paura di perdere il treno per i controlli provoca il pigia pigia. Dateci uno ski-lift per andare ai treni che si rischia di meno.
Però Speranza figura tra i moderati, altrimenti Mattarella non avrebbe scelto lui, per il quale d'altra parte ha un debole, spiegabile con la straordinaria gentilezza che ha ammaliato persino Avvenire. Il quotidiano dei vescovi gli ha perdonato l'autorizzazione che come ministro della Salute ha dato all'aborto farmacologico a domicilio, incurante dei rischi non diciamo del bambino, che tanto non conta niente, ma anche della donna che vuole interrompere la gravidanza. Prima la salute? Ma va', prima l'ideologia.
Di fatto, Draghi lo ha confermato in una carica che dà a Speranza nell'emergenza pandemica più poteri del presidente del Consiglio. Affannato com' è a compilare un Recovery Plan decente, dopo che Conte gli aveva lasciato una bozza straziante per ignoranza, Draghi non si è ancora sintonizzato sulla lunghezza d'onda dei bisogni e dei sentimenti quotidiani della gente che non sa neppure che la Bce sta a Francoforte. In questo momento importa di più, signor Premier, fermare la follia dei megalomani che schioccano le dita e chiudono le montagne, che rifinire i discorsi per oggi al Senato e domani alla Camera. Le tre parole che salvarono l'euro «whatever it takes» (faremo tutto il necessario), per cui Draghi è meritatamente famoso e onorato nel mondo, qui in Italia vanno tradotte in vaccini, in decisioni sagge che tengano conto di tutti i fattori in gioco: salute, economia, libertà, voglia di rinascere. Altrimenti è un guaio. Rimandi nell'amata Siberia il commissario politico della Lucania. Prima che chiuda anche il mare.
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