Il punto
Roberto Formigoni: Mario Draghi, uno tsunami che ha travolto i partiti. Ma il prezzo peggiore lo paga la sinistra
Come era previsto il governo Draghi-Mattarella si è insediato, per alcuni non è così innovativo nè fresco come sperava, ma i ministeri importanti sono tutti in mani adeguate. Settimana prossima otterrà una facile fiducia alle Camere, avremo tempo per parlarne. Oggi è più interessante guardare come sta il sistema dei partiti dopo questo terremoto che li ha colti tutti alla sprovvista. Il più alla sprovvista è certamente il M5S, che doveva essere il dominatore della legislatura, che doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, ricordate? Solo tre anni fa, in uno dei suoi reboanti comizi Grillo proclamava: «Berlusconi preparati, quando noi saremo al governo, o tu scappi in Libano o ti prendi 20 anni di galera!».
Oggi ci governa insieme, al Berlusconi, ha fatto carte false per essere della partita anche se non ha più il presidente del consiglio, il quesito che ha sottoposto ai suoi adepti sulla mitica piattaforma Rousseau è quanto di più truffaldino si potesse scrivere, ha costretto tutti i big a fare propaganda per il Sì, ha implorato Draghi di istituire un misterioso dipartimento per la transizione ecologica che poi ha pomposamente battezzato Superministero, Draghi manco gli ha risposto, gli ha fatto dire sì dal Wwf, e poi ha messo lì chi voleva lui, non un grillino. Ebbene, dopo tutto questo baccano, i militanti 5 Stelle hanno approvato l'appoggio al governo con meno del 60% dei voti, il che vuol dire che più di 4 su 10 non sono d'accordo con l'Elevato. Di Battista se n'è andato, e si preannunciano parlamentari che lo seguiranno e non voteranno la fiducia.
È del tutto evidente che siamo alla vigilia di un nuovo ridimensionamento dei grillini, probabilmente di una scissione, certamente di una perdita di consensi, e questo è un bene per l'Italia, speriamo solo che gli elettori abbiano capito la lezione e non si lascino più incantare da giullari e venditori di fumo. Il secondo partito a uscire acciaccato, anche se ha confermato qualche ministro, è certamente il Pd. Aveva scommesso tutto sul Conte bis e poi sul Conte ter, il bis si è sciolto come neve al sole, il ter non è mai decollato. Zingaretti e l'eminenza grigia Bettini, allievo di D'Alema e si è visto, volevano stipulare un patto d'acciaio col Movimento e con Leu per una riedizione delle sinistre unite, con l'elegante uomo con la pochette, il Conte, come improbabile eterno leader. Anche tutto questo si è sciolto in un solo giorno, e ora i compagni sono costretti a sciropparsi un governo con Berlusconi e perfino con l'indigeribile Salvini. E infatti Zingaretti è già sotto processo, i dirigenti invocano un congresso per licenziarlo, il presidente emiliano Bonaccini annuncia la sua candidatura a segretario, insomma per il Pd non butta affatto bene.
Tutt' altro il clima dall'altra parte della fu barricata destra-sinistra. Berlusconi ha compiuto un trionfale ritorno sulla scena romana, aereo privato, corteo di auto coi vetri oscurati, decine di fotografi a circondarlo. È l'unico che ha scambiato una battuta amicale con Draghi in favore di telecamera, tanto per ricordare che è stato lui a proporlo per la presidenza della Bce. Ma la salute è quella che è, pessima, e Forza Italia appare sempre più un picciol naviglio in preda alle onde. La vera sorpresa, in positivo, è venuta da Salvini. Aiutato dalle riflessioni di Giorgetti e convinto finalmente dalle poderose spinte del mondo produttivo del Nord, ha scelto il momento giusto per compiere quel salto che era ormai indifferibile. Basta con il populismo d'accatto, basta con l'antieuropeismo a priori che danneggia pesantemente l'Italia! Si è mosso verso il centro, forse ha scelto il centro come stabile collocazione politica.
Se questa scelta è definitiva (con Salvini il "se" è obbligatorio), tanto cambierà. Se mette al bando certi atteggiamenti sgangherati, la Lega può veramente entrare nel Partito popolare europeo, dove sarebbe il secondo partito dopo la Cdu, e con i popolari essere protagonista in Europa, non per subire, ma per lavorare a correggere le storture che ancora in Europa ci sono. Su Meloni il giudizio è sospeso, vediamo cosa dice e come si colloca al voto di fiducia. Un ultima citazione la merita invece Renzi, senza di lui questa svolta non sarebbe avvenuta, ha rischiato l'osso del collo, ha perso un ministro ma ha imposto un disegno utile al Paese. Gli elettori non glielo riconoscono, la politica è fatta così. Ma un commentatore serio gliene deve dare atto.