Ricostruzione
Pietro Senaldi, bomba su Mario Draghi: "Vuole farsi cacciare subito", ecco perché ha scelto dei pessimi ministri
Più che una squadra di Draghi, sembra uno zoo. Dobbiamo essere positivi, perché l'esecutivo che giura oggi è, a detta di tutti, l'ultima carta che l'Italia ha per non fallire. E allora auguriamo ai ministri buona fortuna. Detto tra noi però, l'ex governatore della Banca Centrale Europea poteva giocarsi meglio il jolly che il Quirinale gli aveva servito. Se questo è il governo dei migliori, non siamo messi bene. SuperMario non aveva un compito facile, ma gli erano stati dati pieni poteri per fare una squadra sua. Ha deciso di non utilizzarli. C'è già chi dice che il Draghi è un Conte ter, con l'economista che decide di governare con un paio di fedelissimi al posto di Casalinoe Arcuri e una serie di comparse.
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Due sono le scelte forti. La prima è tenere solo per sé i cordoni della borsa, il che significa che il premier concepisce il mandato essenzialmente come una terapia alla crisi economica. L'ex governatore ha chiamato alla vicepresidenza e nei ministeri dove si maneggiano i denari pochi fedelissimi che rispondono solo a lui. La seconda è lasciare in disparte tutti i leader. Draghi non vuole che il suo anno di governo diventi una campagna elettorale. Non a caso anche Conte resta a bocca asciutta. L'unico "big" a mantenere il posto è Di Maio, ma l'uomo ha la grande dote di non creare mai problemi che possano metterne in discussione la poltrona. SuperMario doveva mettere d'accordo il diavolo e l'acqua santa, comunisti e liberisti, giudici e avvocati, parassiti e lavoratori; insomma, l'ammucchiata chiamata da Mattarella a sostenerlo. Ha provato a farlo distribuendo caramelle senza zucchero. Più che un governo di alto profilo, è venuto fuori un minestrone.
Fuori dal campo strettamente economico, il premier ha fatto scelte scontate, concedendo ai partiti le poltrone che non gli interessano, con un occhio di riguardo al Pd, casa madre del suo committente, Mattarella, nonché lo schieramento quello più amato dalla stampa, che così continuerà a spargere saliva al solo sentire il suo nome. Beneficiati dal fatto di non avere un capo, i dem hanno potuto piazzare i loro mezzi leader, Franceschini e Orlando. La neo piddina Boldrini si era intestata la battaglia perché la squadra di Draghi avesse il 50% di uomini e il 50% di donne. Per tutta risposta il suo partito non ha piazzato neppure una signora. È il solo a vantare questo primato, a dimostrare che in politica l'ipocrisia sta sempre a sinistra. Cade Gualtieri. Il ministro super europeista che i giallorossi ci hanno venduto come drago dell'economia, benché laureato in Storia, è stato messo alla porta senza problemi dal vero Draghi dell'economia e dei rapporti con la Ue.
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La Lega e Forza Italia, che hanno sostenuto il governatore senza se e senza ma, sono state fatte accomodare in seconda fila, con Salvini trattato meglio di Berlusconi. Per il centrodestra solo ministeri di risulta, per lo più senza cassa. Unica eccezione, Giorgetti, che si merita l'incarico allo Sviluppo Economico ma se lo è guadagnato da solo, e un mezzo portafoglio a Garavaglia. Nella testa del premier la coppia è un messaggio al ceto produttivo al quale viene attribuita la svolta del leader leghista. Quanto ai berlusconiani, sono fuori dai giochi che contano. Tornano al governo Brunetta e Gelmini, più che altro nel ruolo di testimonial, e la dissidente Carfagna. Viene il sospetto che i nomi siano stati suggeriti da Letta zio più che da Silvio. Renzi deve accontentarsi di aver cacciato Conte, battaglia vinta ma che lo ha reso ancora più divisivo. Premiarlo sarebbe stata una sfida a Dem e M5S. Vediamo per quanto Matteo riuscirà a starsene zitto e fare buon viso a cattivo gioco. La grande notizia è che i grillini sono stati retrocessi. Hanno potuto indicare il responsabile del ministero per la Transizione Ecologica, individuato in Roberto Cingolani, ma il tecnico c'entra poco o nulla con il Movimento, non si può definire neppure un uomo d'area. Per il resto, Draghi ha sfilato a Cinquestelle tutte le poltrone che hanno a che fare con il lavoro e la formazione.
E poi ci sono i tre ministeri chiave, sui quali Draghi ha fatto scelte da coniglietto, che spesso portano a conseguenze sciagurate. La conferma di Speranza ha gelato tutti. Un'ingiustificabile sottomissione a Leu e una resa anticipata al virus, il solo a godere della decisione. La Lamorgese che resta all'Interno è un segnale all'Europa che l'Italia continuerà a svolgere per la Ue il ruolo di centro di raccolta dei clandestini. Ma almeno la signora è un tecnico e conserviamo l'illusione che, se Palazzo Chigi ordinerà un improbabile cambio di linea, l'ex prefetto risponderà «obbedisco». Si salva unicamente la Giustizia, dove il grillino Bonafede non era confermabile e il presidente del Consiglio ha optato per la Cartabia, l'ex presidente della Consulta, forse il solo alto profilo del governo. Non tira aria di riforma, benché sarebbe indifferibile; la signora dovrà menare il torrone per un anno cercando di suturare i buchi più grandi. I casi sono due. O Draghi non vuole andare al Quirinale tra un anno e ha deciso di scontentare tutti i partiti che ce lo potrebbero mandare. Oppure ha messo su una squadra così indigesta apposta perché dalla Lega a M5S, tutti non vedano l'ora di liberarsi di lui spedendolo al Colle.