Ritratto al curaro
Elena Bonetti, il ministro che ha senso soltanto quando si dimette: un rompicapo al governo
Elena Bonetti, politicamente parlando, è un ossimoro. Trattasi infatti dell'unico ministro della storia della Repubblica italiana che esiste solo in quanto dimissionario. Elena Bonetti riempie di senso la propria carica soltanto quando la abbandona, o al massimo quando annuncia ("minaccia" implicherebbe che qualcuno si senta minacciato dall'ipotesi) di essere sul punto di abbandonarla. È ministro (della Famiglia e delle Pari Opportunità, ma mai come qui la delega specifica è un dettaglio buono appena per il sottopancia nelle rarissime comparsate tivù) sempre e unicamente in quanto non-ministro, un rompicapo ontologico che avrebbe procurato il mal di testa a Parmenide, il forgiatore del principio di non contraddizione. Ex piddina, ex oratrice alla Leopolda, ex responsabile Giovani e Formazione sotto la segreteria Renzi, perfino ex scout, quindi transfuga in Italia Viva, insomma una fedelissima del senatore di Scandicci.
L'EQUAZIONE
Elena Bonetti, professoressa di Analisi matematica, svolge sempre la stessa equazione, nella sua attività di ministra: inabissarsi, e farsi viva solo quando il famoso senatore chiama. O meglio, sbraita, minaccia, lancia penultimatum in serie al governo. «Il ministro Bonetti pronto a dimettersi», strillano da settimane le agenzie. Dimettersi da cosa, è la reazione del 99,9% degli italiani. Lei comunque ha le idee chiare, e appena si imbatte in un microfono (evento più improbabile di una professione di modestia del suo capo politico) si ribadisce «pronta a dimettersi» nel caso Conte non presenti un piano condiviso sull'utilizzo dei 209 miliardi del Recovery Found, e rinunci alla velleità accentratrice rispetto alla sovranità dei ministeri, nel suo caso comunque assai complessa, trattandosi di sostituire l'antimateria.
Alcune volte, segno che lei stessa nutre scetticismo sulla sua autonoma esistenza politica, adotta la formula plurale: «Io e la Bellanova siamo pronte a dimetterci», appoggiandosi a quella che il succitato 99,9% degli italiani ritiene l'unica ministra di Italia Viva per convincerci, e convincersi, di possedere un peso specifico. In queste ore Elena va ripetendo il mantra della casa (o dépendance, visto lo stimato peso elettorale del partito): «Aspettiamo una risposta dal presidente del Consiglio». Lei è lì, ferma, piantata, «come un semaforo», diceva Corrado Guzzanti nell'insuperata parodia del maestro dell'immobilismo come maniera di (continuare ad) esistere, Romano Prodi. In attesa che Conte risponda, o non risponda, e lei possa finalmente compiere il passo-chiave del suo mandato al ministero: andarsene. Il redde rationem sarà il 7, al Consiglio dei ministri con il Recovery all'ordine del giorno, dicono gli esperti in decifrazione d'umori renziani. Ma forse sarà già anticipato oggi, rilancia qualcuno, forse è proprio oggi che «Renzi ritira le due ministre», come scrivono riducendole a pedine del Machiavelli col 3% quegli stessi giornaloni che sfornano quotidiane paginate moralistiche sul maschilismo nella politica.
OVVIETÀ
Lei, intanto, si ripara dietro le ovvietà scandite in questi mesi: «Bisogna spendere al meglio i soldi che arriveranno destinati alla ripresa» (pensavamo al peggio), «la battaglia contro la violenza sulle donne si vince insieme» (pensavamo da soli), «a Natale bisogna affiancare responsabilità e cura» (pensavamo irresponsabilità e incuria). E rilascia interviste assai confuse, che sembrano parodie del post-democristianese del capo, come quella di ieri ad Avvenire: «La storia ha dei momenti di svolta. Questa è una di quelle fasi. Sta a noi decidere il futuro dell'Italia e dell'Ue e svoltare nel verso giusto. Il Paese non è arrivato pronto a questa crisi pandemica, ma gli italiani hanno dimostrato di possedere energie straordinarie per reagire. Adesso la politica ha il dovere di riconnettersi a queste energie e di assumersi responsabilità per il Paese». Ma bisogna capirla: sta tutto il giorno lì, a limare la lettera di dimissioni, in attesa che arrivi quella benedetta chiamata da Scandicci.