Italia ai domiciliari
Paolo Becchi e il decreto Natale: "Emergenza sì, urgenza no. Le cifre parlano chiaro"
Il governo ci mette un'altra volta agli «arresti domiciliari». Tutta Italia in zona rossa e questo significa che torniamo in buona sostanza al lockdown di marzo e aprile, con disposizioni peraltro così minuziose che saranno di difficile applicazione da parte dei giudici e di facile contestazione da parte dei cittadini. Ma stavolta invece che un atto amministrativo - il Dpcm - il governo usa lo strumento del decreto-legge (atto avente forza di legge), e pertanto la riserva di legge in materia di limitazione della libertà di circolazione (art. 16 Cost.) è stata formalmente rispettata. Diverso il discorso per la libertà personale (art. 13 Cost.), nel qual caso il controllo sull'applicazione di una misura deve sempre avvenire attraverso la valutazione del magistrato. Il decreto-legge presenta alcuni aspetti di criticità sotto il profilo costituzionale. Nel preambolo il governo richiama l'art. 77 della Costituzione, cioè la sussistenza dei «casi straordinari di necessità e urgenza» che giustificano l'emanazione del decreto-legge. Considerato che il governo reintroduce nei giorni festivi e prefestivi pressappoco le stesse limitazioni di marzo e aprile, non si comprende su quali dati epidemiologici lo faccia. Il 6 novembre, data di entrata in vigore del Dpcm che suddivideva l'Italia in tre zone, i contagi erano 37.809 su 234.245 tamponi, quindi un tasso di positività del 16,14%. I posti in terapia intensiva occupati erano 2.515 mentre i morti 446, con trend in salita per tutti gli indicatori. Il 3 dicembre, di fronte ad un miglioramento della situazione, il premier emanava un nuovo Dpcm col quale metteva da metà mese tutta Italia in zona gialla con la possibilità di uscire e spendere la tredicesima nei negozi. Il 18 dicembre la doccia fredda: un decreto-legge emanato in «casi straordinari di necessità e urgenza».
Le cifre parlano chiaro - L'emergenza c'è, ma l'urgenza? Il 18 dicembre, quando il governo ha emanato il decreto-legge, i ricoverati in terapia intensiva, che il 22 novembre erano arrivati a superare quota 3.800, erano 2.819, con un trend in discesa, i morti invece 674, in calo rispetto ai quasi 900 dei giorni scorsi e il tasso di positività (cioè il rapporto tra numero di contagiati e tamponi effettuati) è sceso attorno al 10%. Dove sono dunque i «casi straordinari di necessità e urgenza» che giustificano il nuovo lockdown? Perché il premier ha detto in conferenza-stampa che la suddivisione dell'Italia in zone ha funzionato e poi attua misure restrittive per tutto il Paese? Un problema che dovrà essere affrontato dal Parlamento in sede di conversione in legge del decreto-legge. Visto che si tratta di misure in vigore fino al 6 gennaio, non avrebbe senso che il Parlamento le discutesse ed emendasse dopo l'Epifania, quindi è probabile che Conte metta la fiducia già la settimana prossima. Ma trattandosi di decreto-legge e non di dpcm, la questione può finire davanti alla Corte costituzionale perché siamo di fronte ad un atto avente forza di legge e non ad un mero atto amministrativo. La Corte può essere chiamata in causa dal Parlamento per conflitto di attribuzione, ma la cosa è difficile nel merito, mentre il giudice ordinario, di fronte al ricorso di un cittadino che volesse impugnare le sanzioni, potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta per assenza del requisito dell'urgenza di cui all'art. 77 della Costituzione, ovvero per palese sproporzione tra il grado di urgenza sul quale il governo ha emanato il decreto-legge e il grado di incisività delle limitazioni imposte alle libertà fondamentali. Argomento che peraltro dovrebbe affrontare anche il Parlamento in sede di conversione in legge del decreto.