La vera storia
Beppe Grillo, l'incidente in cui morirono tre persone: i segreti svelati di una tragedia
Fa abbastanza schifo che nel luglio 2020 si debba tornare su questa vecchia storia, a ciclica dimostrazione che per i personaggi famosi un diritto all'oblio non esiste. «L'immagine spaventosa di quel che è accaduto a Limone Piemonte non mi abbandonerà mai», disse Beppe Grillo nel 1984. E non sapeva che si sarebbe buttato in politica, coi giornalisti pronti a perseguitarlo proprio per quell'immagine. Parentesi personale: la prima volta che ne accennai sul Giornale fu nel luglio 2007, quando il comico non aveva ancora fondato un movimento politico; poi ci tornai sopra in settembre, e, nei dettagli, nell'aprile 2008, anche perché Grillo proponeva di cacciare i parlamentari condannati e quindi non avrebbe potuto candidarsi lui medesimo, perché, appunto, aveva avuto un incidente alla guida della sua Chevrolet ed era stato condannato per omicidio colposo, un triste episodio che Grillo avrà senz' altro patito e che a nostro dire non dovrebbe precludere nessun diritto civile: ma l'intransigenza era tutta sua, perché nell'elenco del parlamentari da cacciare, nel 2008, c'era gente condannata per reati anche più modesti di un omicidio colposo: resistenza a pubblico ufficiale, abuso d'ufficio, abuso edilizio, persino diffamazione a mezzo stampa. Poi nel febbraio 2013 la storia tornò fuori (c'erano in ballo delle elezioni) perché 32 anni dopo il fatto, sulla rivista Vanity Fair comparve un'intervista alla bambina che ai tempi era rimasta orfana dei genitori morti nell'incidente; ora aveva 39 anni e sparlava di Grillo: da lasciare perplessi anche i più fieri oppositori dei Cinque Stelle. Lei, Cristina, l'orfana, disse alla rivista che «non cerco nulla, se non la verità»: anche se era stata sviscerata in tutti i modi. Disse «mi rifiuto di essere strumentalizzata dalla politica», ma sembrava lì apposta. Disse che voleva incontrare Grillo, anche a nome della sua famiglia morta. Disse «non amo parlare di me» e, mentre tornava sull'argomento, disse che non voleva tornare sull'argomento. Perché è così, la macchina non si ferma mai. Grillo è un personaggio pubblico e non ha diritto a «non restare indeterminatamente sposto ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione può arrecare». Dunque rieccoci, luglio 2020. L'altro giorno La Stampa ha raccontato che il sindaco di Limone Piemonte voleva contattare Grillo per via della necessità di rimuovere la carcassa della famosa Chevrolet Blazer abbandonata da quarant' anni nella scarpata dell'Alta Via del Sale. Un rottame che attira troppa gente in un punto pericoloso. Grillo ha già risposto, pare: «Fatelo pure togliere, e se c'è da pagare qualcosa, nessun problema, ci penso io». Il risultato è che Grillo ci pensa, e noi scriviamo: perché c'è lo spunto di cronaca, perché qualcuno magari non sa, non ricorda, è giovane, quindi dobbiamo compiere l'operazione un po' ipocrita di raccontare tutta la storia da capo, non omettendo dettagli di norma taciuti. Il 7 dicembre 1981 (e non 1980, come erroneamente scrisse il blog di Grillo) il comico allora 33enne era a Limone Piemonte ospite di amici, i Giberti. C'era il 45enne Renzo, vecchio sodale, ex calciatore del Genoa, sua moglie Rossana Guastapelle, 33enne, e i figli Francesco di 9 e Cristina di 7. Dopo pranzo decisero di andare a godersi qualche ora di sole a Col di Tenda, a quota duemila, dove c'era una baita (Baita 2000) raggiungibile da una strada stretta e non asfaltata. Col di Tenda era un'antica via romana, tra la Francia e la Costa ligure, che per secoli era stata attraversata da eserciti e mercanti: in pratica una sterrata militare che porta ad antiche fortificazioni belliche. L'idea fu di Grillo, e pazienza se la strada era rigorosamente chiusa al traffico perché pericolosa. La Range Rover di Giberti aveva problemi e non partiva. La Chevrolet di Grillo era nuova, ma quel viaggio fu comunque una follia: era una strada d'alta quota non asfaltata, e non per caso altri amici - e un'opportuna segnaletica - l'avevano vivamente sconsigliato. È tutto agli atti. Grillo pensava di potercela fare. A poche centinaia di metri dall'arrivo, il cane iniziò ad abbaiare, così Carlo e Monica scesero per fargli fare una passeggiata. Lo schianto è di poco dopo: la strada divenne un lastrone di ghiaccio e l'auto iniziò a scivolare all'indietro, urtò una grossa roccia, ruotò e precipitò nel burrone. Il comico si lanciò d'istinto fuori e si salvò. I Giberti e il figlio morirono. L'amico Mambretti si salverà dopo una lunga degenza. Sconvolto, Grillo si rifugiò nella casa di Savignone che divideva col fratello. Il processo di primo grado fu nel 1984. Emblematico l'interrogatorio in aula: «Quando si è accorto di essere finito su un lastrone di ghiaccio con la macchina?»; «Ho avuto la sensazione di esserci finito sopra prima ancora di vederlo»; «Allora non guardava la strada». Il 21 marzo, dopo una lunga camera di consiglio, Grillo venne assolto dal tribunale di Cuneo con formula dubitativa, la vecchia insufficienza di prove: questo dopo aver pagato 600 milioni alla piccola Cristina di 9 anni, unica superstite della famiglia Giberti. La metà dei soldi - una cifra enorme, per l'epoca - furono pagati dall'assicurazione: «La stampa locale, favorevolissima al comico, gestì con particolare attenzione la fase del risarcimento» ha raccontato un collega genovese. Il Secolo XIX, quotidiano locale, s' infiammo con un lungo editoriale a favore dei giudici e dell'avvocato difensore, ma l'entusiasmo fu di breve durata: l'accusa propose Appello e venne fuori la verità, ossia le prove: il pericolo era stato prospettato anche da una segnaletica che nessun giornalista frattanto era andato a verificare. La strada in effetti era chiusa al traffico.
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La Corte d'Appello di Torino, il 13 marzo 1985, lo condannò a un anno e quattro mesi col beneficio della condizionale, ma col ritiro della patente: «Si può dire dimostrato, al di là di ogni possibile dubbio, che l'imputato, risalendo la strada da valle, poteva percepire tempestivamente la presenza del manto di ghiaccio (...). L'esistenza del pericolo era evidente e percepibile da parecchi metri, almeno quattro o cinque, e così non è sostenibile che l'imputato non potesse evitare di finirci sopra», sicché l'imputato «disponeva di tutto lo spazio necessario per arrestarsi senza difficoltà», ma non lo fece, anzi, decise «consapevolmente di affrontare il pericolo e di compiere il tentativo di superare il manto ghiacciato. Farlo con quel veicolo costituisce una macroscopica imprudenza che non costituisce oggetto di discussione». Non andrà meglio in Cassazione, l'8 aprile 1988: pena confermata nonostante gli sforzi dell'avvocato Alfredo Biondi, poi inserito da Grillo nella lista dei parlamentari condannati e dunque da epurare; sua colpa, un reato fiscale depenalizzato e sostituito da un'ammenda. Ma per Alfredo Biondi, almeno, il diritto all'oblio esiste di sicuro: è morto 29 giorni fa.